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Miti

La dea Vesta

Quando la Terra si unì a Saturno, dal seme di lui furono generate tre figlie divine: Giunone, Cerere e Vesta. Le prime due si sposarono entrambe e partorirono dei figli, l’ultima rimase priva di marito. Ecco perché la dea, essendo vergine, è lieta di avere come sacerdotessa un’altra vergine e lascia che ai suoi riti accedano solo mani pure. Del resto, con Vesta si intende la fiamma viva, e dalla fiamma non è nato mai alcun corpo. Pertanto, a buon diritto è vergine, perché non restituisce né accoglie alcun seme e ama le sue compagne di verginità1.

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Il mito greco racconta che Crono era stato spodestato da suo figlio Zeus. Questi ne aveva preso il posto e lo aveva costretto a fuggire in isole lontane. La versione romana introduce una variante: dopo che Saturno è scacciato dal figlio, arriva nel Lazio, regione che porta questo nome proprio perché l’ha nascosto1.

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Saturno e l’invenzione dell’agricoltura

Macrobio, ad esempio, nei Saturnalia1narra come Saturno, fuggito dalla Grecia dopo la sua detronizzazione, sarebbe giunto su una nave presso Giano, dio e re del Lazio primordiale, il quale lo accolse. Nella nuova patria, Saturno avrebbe insegnato a Giano l’arte della coltivazione dei campi, atto che avrebbe consentito ai popoli indigeni il passaggio da un sistema alimentare “primitivo” basato sulla raccolta dei frutti spontanei, a un sistema in cui l’uomo coltiva le piante di cui si nutre. Per questa ragione – continua Macrobio – a Roma Saturno è considerato innanzitutto come un dio agricolo, a cui si fanno risalire tutte le pratiche di trapianto, innesto e fecondazione delle piante (insertiones surculorum pomorumque educationes et omnium huiuscemodi fertilium tribuunt disciplinas). Per contraccambiare lo straordinario dono della agri cultura, Giano avrebbe poi associato Saturno al suo regno .

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La prua di nave e la prosperità di Roma

Plutarco dapprima riporta l’opinione dei più sul significato della prua di nave sulle monete, che rimanderebbe al mito di Saturno, giunto nel Latium per l’appunto in nave al fine di nascondersi (latere, in latino) dopo la sua cacciata dal Tartaro. Plutarco liquida velocemente tale opinione proponendo invece una spiegazione politico-economica delle due immagini presenti sulla moneta in questione. Se l’effigie di Giano rimanderebbe al fatto che a tale dio/re sarebbe da ascrivere un miglioramento delle condizioni sociali e politiche delle comunità del Lazio primitivo, quella della nave starebbe a indicare che, grazie alla navigazione sul Tevere, sarebbero giunti a Roma beni e derrate di ogni genere, portando ricchezze, scambi con altri popoli e prosperità.

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Giano, la memoria e la moneta

Ovidio, nel primo libro dei Fasti1, sta descrivendo un dialogo tra lui e Giano, dio del primo mese dell’anno, apparsogli in visione. Tra le domande che il poeta pone al dio, una riguarda proprio il significato delle antiche monete da un asse dove anche Giano è ritratto. La risposta che Giano dà a Ovidio in merito alla presenza della sua effigie rimanda – piuttosto sorprendentemente per noi – alla capacità che ha la moneta, tramite i segni che riporta, di richiamare alla memoria dell’utente la cosa che su di essa è rappresentata. Giano sottolinea infatti che la presenza della sua immagine su monete, per il fatto solo di essere su oggetti che passavano per le mani di tutti i Romani, faceva sì che il suo nome avrebbe continuato a essere riconosciuto e ricordato in quella società. Il dio bifronte, poi, si sofferma a lungo sull’immagine della prua di nave che – come ritenevano «i più» menzionati da Plutarco – rimanderebbe proprio all’arrivo di Saturno sulla sua nave, e al suo approdo sul Tevere dopo essere stato scacciato da Giove. I saggi discendenti (bona posteritas) dei più antichi abitanti del sito di Roma avrebbero apposto sulle monete da un asse la prua di nave anche in questo caso per testimoniare (testificata), ricordare, l’arrivo del divino ospite di Giano.

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La visita di Enea ai luoghi futuri di Roma

Alla vigilia della guerra contro i Rutuli, Enea, da poco giunto nel Lazio, si reca dal re Evandro per stringere un’alleanza militare. Costui vive con la sua comunità di Arcadi sul Palatino, proprio là dove, qualche secolo dopo, Romolo fonderà la sua città. Il re si mostra subito molto ospitale con Enea e lo conduce a visitare alcuni dei luoghi in cui si svolgerà un giorno la storia di Roma: il bosco che Romolo trasformerà in asilo, la grotta del Lupercale, la rupe che sarà chiamata Tarpea e la cima del Campidoglio, da cui, dice Evandro, promana un sacro terrore che atterrisce gli abitanti, convinti che un dio vi abiti, anche se non sanno dire chi sia. Infine, Evandro mostra al suo ospite le mura diroccate di due insediamenti più antichi del suo, l’uno fondato da Giano e chiamato Gianicolo, l’altro da Saturno e chiamato Saturnia1.

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Giano bifronte e l’età dell’oro

Giano era stato il primo re del Lazio, un re talmente saggio e previdente che riusciva a vedere sia il passato che il futuro: da questa sua capacità deriverebbe il mito della sua bifrontalità. Secondo alcuni, egli era stato il primo in Italia a innalzare templi agli dèi e che per questa sua devozione aveva a sua volta ricevuto onori divini e il privilegio di essere invocato per primo nei sacrifici. Del resto, fu Giano ad accogliere Saturno quando questi venne spodestato da Zeus o addirittura a dividere il regno con lui. Saturno, dal canto suo, ricambiò l’ospitalità ricevuta rivelando a Giano i segreti dell’agricoltura di cui egli era custode e che permisero agli uomini di migliorare la qualità della loro alimentazione e il loro stile di vita. Quando poi Saturno scomparve, Giano onorò l’amico chiamando Saturnia l’intera regione sulla quale egli regnava e per lui istituì i Saturnali, una delle feste più amate dai Romani1.

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Il regno d’oro di Saturno nel Lazio

Saturno, scacciato da Giove, aveva trovato riparo nel Lazio, allora ricoperto di boschi e abitato da Fauni e Ninfe e da un popolo nato dai tronchi degli alberi, privo di costumi e tradizioni, ignaro di ogni arte, che viveva disperso sui monti. Saturno riunì queste rozze genti e diede loro delle leggi. L’età del suo regno fu chiamata “aurea” poiché allora regnava la pace tra il suo popolo1.

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Saturno, Giano e la nascita della moneta

Saturno, giunto a bordo di una nave sulle rive del Lazio, fu accolto da Giano, che allora regnava su quelle terre. In cambio dell’aiuto ricevuto – sembra che il re avesse addirittura condiviso il regno con l’ospite –, Saturno insegnò a Giano l’arte dell’agricoltura, che, introducendo nuovi alimenti nella dieta, segnò un netto miglioramento delle condizioni di vita. Giano, dal canto suo, volle onorare Saturno celebrandolo, seppure indirettamente, in una delle sue più straordinarie invenzioni. Si racconta infatti che, avendo inventato la moneta, volle che su un verso fosse incisa la sua caratteristica faccia bifronte e sull’altro la prua di una nave. In questo modo l’inventore intendeva celebrare se stesso ma anche Saturno, poiché era giunto appunto nel Lazio su una nave. Che la moneta recasse queste due effigi è provato dal fatto che ancora oggi i ragazzi, quando lanciano in aria una moneta, gridano “testa o nave”1.

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Ercole e la sostituzione simbolica nei sacrifici

Giunto nel Lazio, Ercole persuase i Pelasgi ad offrire a Dite non teste umane, bensì “faccine” (oscilla), ovvero maschere riproducenti fattezze umane e a venerare Saturno non immolando un uomo, bensì accendendo delle lampade. La sostituzione qui è motivata da un’analogia puramente fonica (in greco phota significa sia “un uomo”, sia “lampade”), secondo un procedimento che ricorda la soluzione degli enigmi proposta da Numa nel suo dialogo con Giove Elicio. Fatto sta che da allora è invalso il costume per cui alle feste dei Saturnalia i Romani si donavano vicendevolmente candele1.

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