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Miti

Romolo e Remo "figli del focolare"

Un giorno nel focolare della reggia di Alba Longa apparve un membro virile. Consultato l’oracolo, il re Tarchezio apprese che una vergine doveva congiungersi con quel fallo per dare alla luce un bambino destinato a distinguersi per valore, fortuna e forza. Allora il re ordinò alla figlia di unirsi al fallo, però questa mandò al suo posto una schiava; quando venne a sapere la verità, Tarchezio condannò a morte le due fanciulle, ma la dea Vesta gli apparve in sogno vietandogli di ucciderle. Il re le fece allora imprigionare e ordinò loro di tessere una tela, al termine della quale le avrebbe fatte sposare. Si trattava in realtà di un inganno: di notte la tela, per ordine di Tarchezio, veniva disfatta. Intanto la serva che si era unita al fallo generò due gemelli (Romolo e Remo), che il re consegnò a un certo Terazio perché li uccidesse. L’uomo li espose presso un fiume dove furono allattati da una lupa e nutriti da uccelli di ogni tipo. In seguito, furono trovati da un pastore che li portò con sé e li allevò. Divenuti adulti, i gemelli assalirono Tarchezio e lo sconfissero1.

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Romolo e Remo, tra adolescenza e età adulta

I figli di Marte (Romolo e Remo) erano cresciuti fino ai diciotto anni e già si vedeva spuntar loro la barba sotto i biondi capelli. I fratelli rendevano giustizia a tutti gli agricoltori e pastori vittime delle razzie di predoni, riportando ai legittimi proprietari i buoi rubati. Poi, quando vennero a conoscenza delle proprie origini, la scoperta dell’identità del padre aumentò il loro coraggio. A quel punto si vergognarono che la loro fama fosse limitata a poche capanne. Così Romolo uccise l’usurpatore Amulio e restituì il regno al vecchio avo1.

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Impresa giovanile di Romolo e Remo: origine dei Lupercalia

Il Palatino era in festa: i pastori celebravano i consueti sacrifici in onore di Fauno. Mentre i sacerdoti erano intenti a preparare le viscere di una capretta, d’un tratto si odono le urla di un pastore: «Romolo, Remo, i predoni rubano i nostri animali!». I gemelli si attivano immediatamente e nudi come sono si lanciano all’inseguimento, da una parte Romolo con il gruppo dei Quintili, dall’altra Remo con il gruppo dei Fabi. Remo per primo riesce a recuperare gli animali rapiti e, tornando al banchetto, consuma le viscere; poco dopo torna anche Romolo, che al vedere la tavola vuota e le ossa spolpate si mette a ridere. Per questo ogni anno i Luperci corrono nudi1.

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L'autorità dei vecchi

Un tempo le teste canute e le rughe senili godevano di grande rispetto e valore. Mentre la gioventù era impegnata nelle opere belliche, la vecchiaia, età inadatta alle armi, recava aiuto alla città con la saggezza dei consigli: a nessun altro si aprì la curia se non agli anziani e il senato prende il nome dall’età senile. Essi rendevano giustizia al popolo, camminavano in mezzo ai giovani senza che questi se ne dispiacessero, e nessuno in loro presenza osava toccare argomenti licenziosi. Fu Romolo che affidò il governo della nuova città a questi animi eletti che chiamò padri e consacrò agli anziani (maiores) il mese di maggio (maius). Dal nome dei giovani, invece, fu designato il mese di giugno (iunius)1.

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Divinizzazione di Romolo

Romolo passa in rassegna l’esercito nel Campo Marzio, quand’ecco all’improvviso scomparire il sole e venir giù un violento temporale. Fra lampi e tuoni il cielo si squarcia e Romolo sparisce dalla vista: era salito tra gli astri con i cavalli del padre o forse avvolto da una nube. Un fatto così straordinario provoca un turbamento generale; ci fu anche chi sospettò che il re fosse stato ucciso dai senatori. Eppure, l’ammirazione per l’eroe e la paura accreditarono sin da subito la prima versione1. Chi non ebbe dubbi fu Giulio Proculo, fedele amico di Romolo2. Ritornava da Alba Longa quando d’un tratto ebbe una visione sconvolgente, da fargli drizzare i capelli: di fronte a lui stava Romolo, più bello e più grande di un uomo. Gli parlò così: «Di’ai Quiriti che smettano di piangere! Offrano piuttosto incenso alla mia divinità, rendano onore al nuovo Quirino coltivando i costumi degli antenati!». Detto questo, sparì. Proculo riferì al popolo quanto aveva visto e udito e, subito, si costruì un tempio per il nuovo dio, da cui si denominarono un colle e le cerimonie sacre per lui istituite3.

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Romolo e Remo

Alla morte di Proca, i suoi due figli si contendono il trono di Alba Longa e Numitore, erede designato, viene spodestato dall’ambizioso fratello Amulio. Questi, temendo che la nascita di eredi maschi del fratello metta in pericolo il suo regno, fa consacrare Rea Silvia, figlia di Numitore, come vergine Vestale. La donna tuttavia mette alla luce due gemelli, attribuendone la paternità a Marte; in preda all’ira, Amulio fa allora imprigionare Rea Silvia e abbandona i due neonati nelle acque del Tevere. Provvidenzialmente, la cesta che contiene i gemelli viene deposta dalle acque ai piedi di un fico, sul terreno asciutto, e qui una lupa si avvicina ai bambini porgendo loro le sue mammelle gonfie di latte. Il pastore Faustolo, che assiste alla scena, decide di raccogliere i gemelli e di allevarli insieme alla moglie Larenzia. I fratelli crescono forti e gagliardi nelle campagne del Lazio finché un giorno uno di loro, Remo, viene catturato e consegnato al re Amulio, con l’accusa di aver condotto razzie nel territorio di Alba. Numitore riconosce allora il nipote e gli rivela la sua origine; altrettanto fa il pastore Faustolo con Romolo. I due gemelli, insieme ad alcuni compagni, attaccano la reggia, uccidono il tiranno e restituiscono il trono al nonno Numitore. A questo punto, i gemelli scelgono di andare a fondare una nuova città nei luoghi della loro infanzia. I contrasti, però, cominciano già con la scelta del nome da assegnare alla città, e la brama di potere prende facilmente il sopravvento. Dopo aver deciso di dirimere la controversia rimettendo agli dèi la scelta del fondatore, Romolo e Remo si posizionano rispettivamente sul Palatino e sull’Aventino per osservare i segni celesti. A Remo appaiono subito sei avvoltoi, ma proprio mentre tale annuncio viene portato a Romolo, questi scorge un numero doppio di uccelli. Ciascun gruppo di sostenitori acclama il proprio re, appellandosi al primato temporale o alla superiorità numerica; nella contesa che segue, Remo cade in battaglia. Secondo una diversa versione, è Romolo stesso a trucidare il fratello, reo di aver scavalcato le nuove mura in segno di scherno. In ogni caso, la città fu fondata e il gemello vincitore le diede il proprio nome1.

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Integrazione tra Romani e Sabini

Una volta conquistato il Campidoglio, i Sabini devono far fronte al rinnovato impeto delle truppe romane, ansiose di vendetta. Dalla mischia emergono due valorose figure: Mezio Curzio per i Sabini e Osto Ostilio per i Romani. Quest’ultimo però cade sul campo, gettando i compagni nello sconforto; Romolo supplica allora Giove di arrestare la fuga e salvare la città, promettendo in cambio la costruzione di un tempio al dio come “Statore”. I Romani riprendono a combattere e riescono a disarcionare dal cavallo Mezio Curzio; questi precipita quindi in una palude, nell’area che più tardi sarebbe stata occupata dal Foro. A ricordo dell’evento, tale parte del Foro sarà denominata Lacus Curtius. Sostenuto dalle acclamazioni dei Sabini, comunque, Mezio si tira fuori dall’acquitrino e la battaglia riprende nella valle fra Campidoglio e Palatino. Sono le donne sabine che a questo punto imprimono una svolta alle vicende, gettandosi in mezzo alle schiere e supplicando entrambe le parti di porre termine a quella che è divenuta ormai una guerra civile. Gli uomini in lotta, commossi dall’accorato appello, acconsentono alla pace e decidono di fondere le due città. I Sabini si trasferiscono a Roma, dove Tazio diviene re al pari di Romolo. La diarchia così inaugurata prosegue all’insegna della piena concordia, finché un sinistro incidente non spezza la vita del coreggente sabino. Alcuni parenti di Tazio usano violenza contro gli ambasciatori dei Laurentini, e allorché questi domandano giustizia, Tazio non ha la forza di opporsi alle suppliche dei suoi. Perciò, quando il re sabino si reca a Lavinio allo scopo di celebrare un sacrificio, i Laurentini si vendicano uccidendolo12.

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Morte di Tito Tazio: empietà e contaminazione

È infatti a Lavinio che si consuma un altro gesto di empietà e violenza, teso a pareggiare il debito di sangue: Tazio è assassinato mentre officia un sacrificio, in un momento in cui la prassi religiosa esige il massimo della purezza e dello scrupolo. Accade invece che il re sabino muoia «trafitto presso gli altari dai coltelli sacrificali e dagli spiedi utilizzati per trapassare i buoi»1. Il sangue degli animali consacrati, offerto per la città e per gli dèi, è orribilmente mescolato a quello del celebrante, al culmine di una faida fra popoli consanguinei. Al delitto fanno seguito una serie di eventi infausti: un’inattesa pestilenza si abbatte sugli abitanti di Roma e Lavinio, la terra e gli animali domestici divengono sterili e una pioggia di sangue si rovescia sui luoghi. Né i Romani né i Laurentini hanno dubbi sul fatto che l’ira divina sia stata provocata dai due atti di empietà rimasti inespiati: l’omicidio degli ambasciatori e il linciaggio di Tazio. Dopo la morte di quest’ultimo, infatti, Romolo si era rifiutato di punire i colpevoli, asserendo che il primo fatto di sangue era stato cancellato dal secondo. Nessun effetto sortisce comunque la sollecitudine religiosa con cui Romolo dà sepoltura al collega sull’Aventino, istituendo presso la sua tomba un culto funebre che prevede l’offerta annuale di libagioni a spese della comunità, identiche a quelle che si versavano sul Campidoglio per l’ambigua eroina Tarpea. Il re deve dunque rassegnarsi a fare piena giustizia: vengono puniti sia gli aggressori degli ambasciatori laurentini sia gli assassini di Tazio e le due città sono purificate attraverso apposite cerimonie lustrali. Anche questi riti entrarono nell’uso tradizionale ed ebbero come sfondo, nei secoli successivi, una non meglio precisata Porta Ferentina2.

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Sconsacrazione e consacrazione dei confini di Roma

Prima della costruzione, Tarquinio ritenne opportuno liberare l’area dai precedenti vincoli religiosi, facendo sconsacrare (exaugurare) gli edifici che vi erano stati votati dal re Tazio durante il conflitto con Romolo, e che in seguito erano stati consacrati solennemente (consecrata inaugurataque). In quella occasione gli dèi vollero manifestare esplicitamente il loro volere. Gli auspici forniti dagli uccelli, infatti, approvarono la sconsacrazione riguardo a tutti gli altri templi, tranne che per il sacello di Terminus, il dio dei confini. In questo modo essi significarono la futura stabilità dei fines di Roma. A questo auspicio di eternità dell’impero ne seguì un altro relativo alla sua grandezza, allorché, scavando le fondamenta del tempio, fu trovato un teschio umano dai lineamenti integri. Questo caput significava che il luogo era destinato a costituire la rocca dell’impero e la “testa” della sua potenza1

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uccisione_romolo

Della morte di Romolo esistono due versioni. Quella meno diffusa1mette in risalto l’aspetto tirannico del fondatore di Roma. Si racconta infatti che Romolo aveva accentrato nelle sue mani sempre più potere e questo lo aveva reso inviso agli altri patres, cioè agli altri senatori romani con i quali si consultava durante il suo regno. Questi, volendo mettere fine al suo potere spropositato, lo avevano ucciso durante un’assemblea e, per nascondere il delitto, avevano spezzato il suo corpo, di cui ogni senatore aveva portato via un pezzo nascosto sotto la sua toga.

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deificazione_romolo

Si dice che, durante una violenta tempesta, una nuvola avesse avvolto il corpo di Romolo e lo avesse nascosto alla vista dei patres. Dissoltasi la nuvola, Romolo non si trovò più da nessuna parte. I Romani allora, dice Livio1, furono presi dalla paura e dallo sconforto, come se avessero perso un padre. Poi qualcuno cominciò a esclamare che Romolo, figlio di un dio, era diventato un dio lui stesso. I patres diffusero la buona notizia, ma la città rimase piuttosto inquieta per la strana scomparsa. Non tutti ci credevano. Ci fu allora un certo Giulio Proculo, il cui parere era stimato, che si presentò al popolo e affermò di essere certo che Romolo fosse salito al cielo. Come prova addusse il fatto che il loro sovrano era apparso quella mattina stessa davanti ai suoi occhi impauriti e pieni di rispetto. Romolo gli aveva ingiunto di riferire agli altri Romani che non si preoccupassero per lui e aveva aggiunto un messaggio per i suoi concittadini: la volontà del cielo era che Roma fosse la capitale del mondo. I Romani dunque si sarebbero dovuti impegnare nell’arte militare e avrebbero dovuto insegnare ai loro figli che nessuna potenza umana può resistere alle armi dei Romani. Dopodiché, dice Proculo, Romolo si alzò in aria e sparì.

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origine_lupercalia

Questa festa era stata portata nel Lazio dai Greci arrivati con Evandro, che provenivano dall’Arcadia, una regione del Peloponneso in cui era particolarmente onorato il dio Pan. Essi avevano stabilito nel Lazio una festa che ricordava quella del loro paese di origine e che consisteva appunto in un sacrificio in onore di Pan, identificato con il dio italico Fauno. La festa era stata celebrata fino al tempo di Romolo e Remo. Una volta, mentre si svolgeva, fu annunciato che dei ladri di bestiame avevano rubato le mandrie. Romolo e Remo, che allora erano giovani pastori e stavano compiendo esercizi ginnici, non persero tempo a rivestirsi e, nudi com’erano, si dettero all’inseguimento dei briganti, ognuno con un gruppo di amici. Questo episodio costituisce il prototipo mitico della corsa attraverso le strade di Roma che i luperci compiono appunto vestiti solo di una pelle di capra, dopo essersi ripartiti in due gruppi .

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romolo_remo_auspici

Livio narra che per decidere quale tra i due gemelli dovesse essere il re della futura città si ricorse alla divinazione «poiché erano gemelli, e non valeva come criterio risolutivo il rispetto dovuto all’età; affinché gli dèi, sotto la cui protezione erano quei luoghi, indicassero con segni augurali (auguriis) chi doveva dare il nome alla nuova città, chi dopo averla fondata, regnarvi. Romolo per osservare il cielo al fine di cogliere i segni (ad inaugurandum templa) salì sul Palatino; Remo sull’Aventino»1.

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numa_auspici

Le sue qualità però non bastarono, bisognava avere l’approvazione divina. Racconta Livio: «tutti all’unanimità decidono di affidare il regno a Numa Pompilio. Fu dunque fatto chiamare […] e poiché erano stati presi gli auguri (augurato) per Romolo, quando aveva fondato la città, così egli volle che anche per lui si consultassero gli dèi»1. Un augure salì sul colle, si sedette su una pietra e rivolse lo sguardo a mezzogiorno. L’augure stava alla sinistra del futuro re, con il capo velato e con un bastone ricurvo, il lituus, nella destra. Gli dèi furono invocati, lo spazio del cielo individuato: fausto l’auspicio proveniente da oriente (sinistra), infausto quello da occidente (destra). Gli auspici giunsero da destra, Numa fu proclamato re.

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Romolo organizza il ratto delle Sabine

Romolo capisce ben presto che la città da lui fondata non avrebbe superato la prima generazione per l’assoluta mancanza di donne. In un primo tempo invia delegazioni presso le città limitrofe a chiedere loro di «mescolare la stirpe», ma le risposte ricevute sono sprezzanti; il fondatore decide allora di ricorrere all’astuzia. Organizza a Roma un grande spettacolo, al quale sono invitati i popoli vicini; a un segnale convenuto i giovani romani si lanciano sulle donne presenti, avendo cura di rapire solo le vergini. Le ragazze sono quindi condotte alla presenza di Romolo, che le unisce in matrimonio ad altrettanti cittadini, invitandole ad amare i mariti che la sorte ha assegnato a ciascuna1.

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Le Sabine si oppongono alla guerra

Dopo il rapimento, i congiunti delle Sabine avviano i preparativi per la guerra. Quando però le schiere contrapposte sono sul punto di scontrarsi, le donne si interpongono fra gli eserciti e sotto la guida di Ersilia, moglie di Romolo, scongiurano il conflitto fratricida, mostrando i figli che molte di loro hanno generato e invitando quanti sono diventati parenti, sia pure loro malgrado, a non macchiarsi del sangue di suoceri e generi .

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Destino comune tra Romolo e Remo

A lungo le biografie di Romolo e Remo scorrono perfettamente parallele: entrambi sono abbandonati nel fiume, entrambi vengono deposti dalla piena sulle rive e qui nutriti da una lupa e da un picchio, entrambi sono raccolti e allevati dal pastore Faustolo e dalla sua compagna Acca Larenzia, entrambi crescono robusti e forti e divengono presto una sorta di raddrizzatori di torti per i pastori delle campagne laziali. La loro specularità è legata anzitutto al tratto della nascita gemellare, che costituisce una sorta di fraternità rafforzata, ed è marcata persino dalla loro onomastica, specie in quelle varianti che chiamano Romo il fratello di Romolo o propongono una coppia Remo e Romo; se poi il fratello, come riteneva l’erudito Nigidio Figulo, è «quasi un secondo sé stesso», non stupisce che Romolo fosse chiamato anche Altellus, il “Piccolo altro”, come se la sua identità potesse definirsi solo in rapporto a quella del suo gemello1.

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Differenze tra Romolo e Remo

In uno degli episodi che li vedono congiuntamente protagonisti, Romolo e Remo stanno celebrando un sacrificio in onore del dio Fauno quando vengono avvertiti che si è verificato un furto di bestiame nelle campagne circostanti e corrono in direzioni diverse. Remo in questo caso è più rapido e rientra prima del fratello nel luogo del sacrificio; lui e i suoi seguaci consumano allora le carni senza attendere l’arrivo di Romolo, al quale vengono lasciate le sole ossa1. In questo racconto (che costituisce il mito di fondazione dei Lupercalia, celebrati ogni anno il 15 febbraio da due gruppi di giovani che percorrono in direzioni opposte il perimetro del Palatino) Remo riesce dunque a risolvere più rapidamente del fratello la situazione di crisi per la quale è stato chiamato in causa; al tempo stesso, però, egli viola il principio della commensalità e dell’equa distribuzione delle carni fra due figure gerarchicamente paritetiche, impegnate nella celebrazione del medesimo rito. In un successivo momento della saga è invece Remo a lasciarsi catturare dai pastori di Alba Longa e Romolo a organizzare le forze in vista della sua liberazione; lo stesso nome Remus viene connesso da una parte della tradizione all’aggettivo remores, con il quale si designavano gli individui caratterizzati da lentezza nel corpo e ottusità nella mente2.

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Contesa per la fondazione di Roma e morte di Remo

Dalla cima dell’Aventino Remo scorge per primo sei avvoltoi, ma Romolo, che aveva invece scelto come punto di osservazione il Palatino, ne vede un numero doppio ed esce vincitore dalla contesa. Quando Romolo prende a innalzare le mura della nuova città, Remo irride all’iniziativa del fratello e scavalca facilmente la cerchia ancora in costruzione, venendo per questo ucciso da Romolo, monito per chiunque in futuro oserà violare la cinta urbana. Questa versione presenta peraltro una serie di varianti, volte ad attenuare o cancellare l’elemento disturbante del fratricidio: talora l’uccisione di Remo è imputata all’iniziativa di un certo Celere, variamente identificato in uno dei lavoranti impegnati nella costruzione del muro, nell’individuo che presiedeva alla costruzione stessa o in un ufficiale dell’esercito o della cavalleria. Altre versioni fanno invece perire Remo in un momento precedente, nel corso dei disordini succeduti alla presa degli auspici, e un racconto isolato parla persino di un Remo sopravvissuto alla morte del fratello. La coppia gemellare, disfatta dal fratricidio, si ricostituisce peraltro in effigie: dopo la scomparsa di Remo scoppia una pestilenza, oppure si verificano terremoti o disordini, che gli oracoli ordinano di espiare attraverso la costruzione di una statua d’oro di Remo da collocare accanto al trono romuleo1.

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Romolo e Remo pastori

Faustolo, aio di Romolo e Remo, era infatti porcaro del re Amulio e gli stessi gemelli avrebbero vissuto come pastori prima della fondazione della città1che, peraltro, cadeva il 21 aprile, giorno dei Parilia, un’antichissima festa pastorale . Per delimitare il primigenio spazio urbano, poi, Romolo avrebbe aggiogato un toro e una vacca, animali che vengono allevati da pastori di mandrie. Per dare ulteriore forza ai suoi argomenti l’erudito reatino fa riferimento anche alla presenza, ancora ai suoi tempi, di alcune istituzioni, o aspetti della società, che rimanderebbero ad antiche pratiche pastorali, come l’esistenza di multe comminate in buoi e pecore o la presenza di nomi di famiglia (Porcius, Ovinius, Caprilius, Asinius) e cognomina (Taurus, Vitulus) evidentemente derivati dagli animali da allevamento.

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I fratres Arvales e il culto cerealicolo

Gli undici figli di Acca Larenzia, nutrice di Romolo e Remo (e moglie di Faustolo), furono designati dal re fondatore come i primi fratres Arvales, sacerdoti che si occupavano del culto cerealicolo della dea Dia, e a cui a Romolo stesso si aggiunse come dodicesimo membro. Poco dopo Romolo, Numa avrebbe introdotto riti in cui i cereali, e in particolare il farro, venivano offerti agli dèi, così come la mola salsa – impasto di farro primiziale, sale e acqua del Tevere lavorato dalle Vestali –, indispensabile per immolare le vittime destinate al sacrificio. Ai tempi di Numa – continua Plinio – sono poi associate importantissime feste agricole come i Fornacalia, in cui gli abitanti delle diverse curie di Roma torrefacevano il farro, o i Terminalia del 23 febbraio, in cui si rendeva culto a Terminus, dio dei confini dei campi.

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L’aratro e la fondazione di Roma

Romolo, dopo aver sperimentato nella giovinezza uno stile di vita da reietto, vivendo in un’umile capanna, allevato – lui, trovatello – da pastore tra pastori, una volta rivelatosi come figlio di Rea Silvia, imparentato con i re albani e destinato a ruoli ben superiori a quello di porcaro, avrebbe infatti fondato Roma con un aratro e assegnato lotti di terra coltivabile ai nuovi cittadini1.

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Romolo e il valore della moderazione

Il primo re di Roma, invitato a banchetto da amici, avrebbe bevuto piuttosto poco (non multum). All’osservazione dei commensali, secondo cui «se tutti gli uomini facessero così, il vino avrebbe assai poco valore», Romolo rispose che essi si sbagliavano. Al contrario, secondo il re, se tutti facessero come lui, il vino sarebbe certamente caro, dal momento che Romolo aveva bevuto esattamente la quantità di vino che desiderava – cioè, per l’appunto, una quantità moderata.

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Il sogno di Silvia e il vigore di Romolo

Il giorno in cui Marte si unisce alla vestale Silvia, quest’ultima fa uno strano sogno: si trovava vicino al fuoco sacro, quando la benda di lana le scivolava dai capelli e cadeva ai piedi delle fiamme. Da quel punto sorgevano due palme, una delle quali ricopriva con le sue fronde tutta la terra e con la sua sommità arrivava fino alle stelle. Quando Silvia partorisce due gemelli, entrambi rivelano con la loro robustezza la matrice divina della loro nascita, ma è evidente che uno dei due, Romolo, ha più vigore dell’altro1.

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Tazio, l’omicidio e la peste

Al tempo in cui Tito Tazio e Romolo condividevano il potere, alcuni amici e parenti di Tazio, imbattutisi negli ambasciatori dei Laurenti, li attaccarono per derubarli e li uccisero. Romolo, venuto a conoscenza dell’accaduto, voleva che quell’ingiustizia fosse subito punita, ma Tazio esitava. Allora i parenti di quelli che erano stati uccisi, disperando di ottenere giustizia, dato che gli assassini erano amici del re Tazio, assalirono quest’ultimo mentre, con Romolo, stava celebrando un sacrificio a Lavinio. Romolo seppellì Tazio, ma trascurò di punire quell’omicidio. Qualche tempo dopo, una pestilenza si abbatté sulla città, accompagnata da una pioggia di sangue. Era chiaro a tutti che quella era la punizione divina per l’uccisione degli ambasciatori laurenti, che violava le norme di giustizia. Infatti, non appena gli assassini furono puniti, i flagelli cessarono. Romolo allora purificò Roma con dei sacrifici espiatori, ed essi si continuarono a celebrare anche dopo, nei pressi della porta Ferentina1.

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Rituali di fondazione

Romolo scavò una fossa di forma circolare nel luogo in cui sorgerà un giorno il Comizio e qui fece deporre le primizie di tutte le cose che gli uomini ritengono belle sulla base della loro cultura e necessarie per natura. Poi ciascun colono venne a gettarvi una manciata di terra prelevata dal luogo natio e le diverse zolle furono mescolate insieme. I Romani chiamano questa fossa mundus. Poi con alcuni cippi terminali delinearono il perimetro della città. A questo punto il fondatore, dopo aver attaccato all’aratro un vomere di bronzo e avervi aggiogato un toro e una vacca, tracciò un solco profondo intorno alle pietre di confine, mentre quelli che lo seguivano avevano cura di rivoltare all’interno del solco tutta la terra che veniva sollevata via via lungo il percorso. Con questo tracciato delimitano il percorso delle mura, mentre la striscia di terreno che si estende dal muro fino alla linea dei cippi terminali è chiamata “pomerio”, proprio perché sta dietro o dopo il muro. Dove hanno intenzione di costruire una porta, asportano il vomere, sollevano l’aratro e lasciano uno spazio; per questo motivo credono che tutto il muro sia sacro tranne le porte; se infatti avessero considerato sacre anche le porte, non sarebbe stato possibile far entrare alcune cose e farne uscire altre necessarie e tuttavia impure senza timore religioso1.

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Il diritto d’asilo

Appena realizzata la prima fondazione, Romolo istituisce un luogo sacro per i ribelli, intitolato al dio Asilo: vi sono accolti tutti coloro che vi si rifugiano, senza restituire gli schiavi ai padroni, né i debitori ai loro creditori, né gli assassini ai magistrati. In questo modo la città si riempì ben presto di gente, mentre all’inizio le famiglie non superavano il migliaio1.

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La morte di Remo secondo Diodoro Siculo

Romolo nel fondare Roma cinge con cura il Palatino con un fossato per impedire che i popoli vicini possano ostacolare il suo progetto. Ma Remo, che non sopportava di essere stato vinto dal fratello e invidiava la sua buona sorte, recatosi presso quelli che lavoravano alle fortificazioni li dileggiava, sostenendo che quel fossato sarebbe stato insufficiente a difendere la città e che i nemici avrebbero potuto oltrepassarlo facilmente. Allora Romolo, adirato, disse: «Ordino a tutti i cittadini di respingere colui che tenti di attraversare questo confine». Ma di nuovo Remo, insultando quelli che lavoravano, diceva che lo stavano facendo troppo stretto: «Un nemico potrebbe facilmente superarlo, così come faccio io». E dicendo così lo attraversò. Ma un certo Celere, uno dei lavoratori, impugnò una vanga e uccise Remo, affermando di obbedire al proclama del re1.

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La morte di Remo secondo Livio

Remo oltrepassò le nuove mura per scherno nei confronti del fratello e per questo fu ucciso da Romolo, che infuriato disse: «Così muoia chiunque altro oltrepassi le mie mura». Così Romolo si impadronì del potere e la città prese il nome dal suo fondatore1.

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L’apoteosi di Romolo

Il giorno in cui Romolo scomparve misteriosamente in Campo Marzio nel corso di una tempesta, tra la plebe serpeggiò il sospetto che egli fosse stato ucciso dai senatori, mentre gli stessi senatori sostenevano che il re era stato portato in cielo dal turbine. Allora un certo Giulio Proculo si presentò all’assemblea e assicurò di aver visto con suoi occhi Romolo scendere dal cielo e dirgli queste parole: «Va’e annuncia ai Romani che gli dèi vogliono che la mia Roma sia la testa del mondo. Che coltivino l’arte militare e sappiano che nessuna potenza umana potrà mai resistere alle armi romane»1.

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La visita di Enea ai luoghi futuri di Roma

Alla vigilia della guerra contro i Rutuli, Enea, da poco giunto nel Lazio, si reca dal re Evandro per stringere un’alleanza militare. Costui vive con la sua comunità di Arcadi sul Palatino, proprio là dove, qualche secolo dopo, Romolo fonderà la sua città. Il re si mostra subito molto ospitale con Enea e lo conduce a visitare alcuni dei luoghi in cui si svolgerà un giorno la storia di Roma: il bosco che Romolo trasformerà in asilo, la grotta del Lupercale, la rupe che sarà chiamata Tarpea e la cima del Campidoglio, da cui, dice Evandro, promana un sacro terrore che atterrisce gli abitanti, convinti che un dio vi abiti, anche se non sanno dire chi sia. Infine, Evandro mostra al suo ospite le mura diroccate di due insediamenti più antichi del suo, l’uno fondato da Giano e chiamato Gianicolo, l’altro da Saturno e chiamato Saturnia1.

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L’eredità di Enea e la missione di Roma

Enea, accompagnato dalla Sibilla, è sceso agli Inferi, dove ha incontrato il padre Anchise, che lo conduce su un’altura per mostrargli la sua discendenza. Da qui egli osserva un lungo corteo di anime in attesa di venire al mondo, che sfila ordinatamente di fronte ai suoi occhi. Ad aprire la colonna è Silvio, figlio di Enea e Lavinia, cui seguono gli altri re albani, Romolo, il fondatore di Roma, e i suoi successori Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marcio, i Tarquini; poi i grandi eroi della storia repubblicana, Bruto che cacciò il tiranno e fu il primo console, i Deci, i Drusi, Torquato che fece giustiziare il figlio, Camillo che riprese Roma ai Galli; e molti altri ancora, Catone, i Gracchi, i due Scipioni, Cesare e Pompeo, lo stesso Augusto, sotto il cui regno tornerà l’età dell’oro, e infine il giovane Marcello, nipote di Augusto, scomparso a soli 19 anni1.

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Romolo e Numa: la nascita del calendario

Secondo una parte della tradizione, il calendario di Romolo iniziava a marzo, il mese consacrato a Marte, e si concludeva a dicembre; esso contava cioè solo dieci mesi, alcuni di 20 giorni, altri di oltre 35. Fu Numa a inserire gennaio e febbraio prima di marzo, portando così il computo dei mesi a dodici. Febbraio è il mese delle purificazioni, nel quale si sacrifica agli spiriti dei morti e si celebra la festa dei Lupercali, che presenta anch’essa le caratteristiche di una purificazione; gennaio prende invece il nome da Giano, cui si attribuiva il merito di aver liberato gli uomini dalla primordiale condizione ferina e selvaggia1.

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Il pomerio e l’esclusione dell’Aventino

Il pomerio istituito da Romolo terminava alle pendici del Palatino, poi, con l’ampliarsi della città, esso venne più volte allargato e finì per includere molti altri colli. Il diritto di ampliare il pomerio spettava a chi avesse accresciuto l’impero con la conquista di un territorio nemico; non è chiaro tuttavia perché tutti coloro che si avvalsero di questo diritto, compresi Servio Tullio, Silla e Cesare, non vollero includere l’Aventino, che pure è all’interno delle mura. Secondo Messalla, ciò dipendeva dal fatto che quello era il colle sul quale Remo avrebbe voluto fondare la sua città e dove aveva scelto di prendere gli auspici; ma poiché questi si erano rilevati infausti, l’Aventino venne ritenuto un luogo poco fortunato e quindi escluso dai confini augurali della città1.

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