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Miti

Concepimento e nascita di Servio Tullio

Un giorno la serva Ocresia stava svolgendo alcuni riti nella reggia di Tarquinio insieme alla regina Tanaquilla e mentre, come di consueto, versava vino sull’altare, ecco apparire dal focolare un membro virile. Tanaquilla le ordinò allora di sedere presso il focolare e lì fu concepito Servio Tullio, che per questo venne considerato figlio del dio del fuoco Vulcano1.

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I figli di Bruto condannati a morte

Dopo la cacciata di Tarquinio fu svelata una congiura ai danni della neonata repubblica. Nella trama erano coinvolti anche i figli di Bruto, Tito e Tiberio; quando essa venne scoperta, a Bruto, in quanto console, toccò il duro compito di giustiziare i figli, condannati a morte come il resto dei congiurati. Denudati, legati a un palo e sferzati, infine decapitati, i due giovani attiravano su di sé gli sguardi di tutti i presenti, che ne commisuravano la sorte, mentre Bruto assistette impassibile alla loro esecuzione1.

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Lo stupro di Lucrezia e lo spazio della casa

Durante l’assedio di Ardea, città dei Rutuli, gli ufficiali più in vista dell’esercito, tra cui Sesto Tarquinio, figlio del re, e il suo congiunto Tarquinio Collatino, prendono a discutere su chi di essi abbia la moglie più casta. La discussione si anima e Collatino invita i commilitoni a verificare in prima persona la superiorità della sua Lucrezia su tutte le altre. In effetti, mentre le nuore del re vengono sorprese nel pieno di un festino e in compagnia di coetanee, Lucrezia è seduta in piena notte al centro dell’atrio, impegnata a filare la lana insieme alle serve. Collatino si aggiudica così la gara delle mogli. È in quel momento che Sesto Tarquinio, eccitato dalla bellezza e dalla provata castità di Lucrezia, viene preso dalla smania di averla a tutti i costi. Così, qualche giorno dopo Sesto torna nella casa di Collatino; di notte, quando capisce che tutti sono sprofondati nel sonno, sguaina la spada e si reca nella stanza di Lucrezia, immobilizzandola con la mano puntata sul petto. Vedendo però che la donna è irremovibile e non cede nemmeno di fronte alla minaccia della morte, aggiunge all’intimidazione il disonore e si dice pronto a sgozzare un servo e a porlo, nudo, accanto a lei dopo averla uccisa, perché si dica che è morta nel corso di un infamante adulterio. Con questa minaccia, la libidine di Tarquinio ha la meglio sull’ostinata castità di Lucrezia. L’indomani, la matrona manda a chiamare il padre e il marito, pregandoli di venire accompagnati da un amico fidato. Arrivano così Spurio Lucrezio con Publio Valerio, Collatino con Lucio Giunio Bruto. Alla vista dei congiunti, Lucrezia racconta la propria vicenda, quindi induce i presenti a giurare che Tarquinio non resterà impunito. Tutti formulano il loro giuramento, poi cercano di consolare la donna; ma Lucrezia, afferrato il coltello che tiene nascosto sotto la veste, se lo pianta nel cuore e crolla a terra esanime1.

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Comportamento scellerato di Tullia

Tullia agisce in un primo tempo all’interno della casa, dove però tiene un comportamento del tutto inaccettabile (si incontra di nascosto con il marito della sorella, con il quale decide, e poi compie, gli omicidi della sorella e del marito), poi fuori dell’ambiente domestico. In particolare, subito dopo l’assassinio di suo padre Servio Tullio, Tullia si dà a una fitta sequenza di trasgressioni. Prima si reca nel Foro sul carpentum, un tipo di carro chiuso impiegato dalle matrone per non rinunciare alla necessaria riservatezza, ma del quale la donna farà un pessimo uso. Inoltre, una volta nel Foro Tullia si mescola alla folla degli uomini, rivolgendo la parola al marito in una tale sconveniente situazione, al punto che lo stesso Tarquinio si vede costretto ad allontanarla. Ed è durante il tragitto di ritorno che Tullia passa con il suo carro sul corpo del padre, che lì giaceva dopo che suo marito l’aveva fatto uccidere, nella strada che proprio da questo episodio prenderà il nome di Vicus Sceleratus. Tullia porta così fino ai Penati propri e del marito parte del sangue proveniente da quella terribile uccisione, del quale è imbrattata e schizzata lei medesima: e a questa sistematica infrazione dei doveri parentali non potrà che seguire l’ira dei Penati stessi. Tullia quindi non solo non sa limitarsi a stare nello spazio che le compete, ma al contrario fa dello spazio – di ogni spazio – l’uso più trasgressivo possibile1.

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Tentativo di stupro di Gitone

Encolpio è appena tornato alla pensione dove alloggia col suo amico Ascilto quando vede Gitone seduto in un angolo del letto ad asciugarsi le lacrime. «Che succede?», gli chiede preoccupato. Ma il ragazzo non fiatava. Solo dopo che Encolpio lo ha pregato, mescolando le suppliche alla collera, Gitone, suo malgrado, parla: «Questo tuo amico qui presente è tornato di fretta poco prima di te e ha tentato di portarmi via con la forza il pudore. E poiché io mi son messo a gridare, ha impugnato una spada e mi ha detto: “Se credi di essere Lucrezia, hai trovato il tuo Tarquinio!”». «Che hai da dire a tua discolpa?», ruggisce Encolpio. Quello fa spallucce: «Pensa a te, piuttosto, che, per Ercole, pur di essere invitato a cena fuori, ti sei messo a lodare quel poetastro di Agamennone!». Così, da una terribile lite, i due scoppiano in una grassa risata. Ma quando Encolpio si ricorda dell’affronto che Gitone ha subìto, gli è chiaro che con Ascilto non si possa più andare d’accordo1.

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Sconsacrazione e consacrazione dei confini di Roma

Prima della costruzione, Tarquinio ritenne opportuno liberare l’area dai precedenti vincoli religiosi, facendo sconsacrare (exaugurare) gli edifici che vi erano stati votati dal re Tazio durante il conflitto con Romolo, e che in seguito erano stati consacrati solennemente (consecrata inaugurataque). In quella occasione gli dèi vollero manifestare esplicitamente il loro volere. Gli auspici forniti dagli uccelli, infatti, approvarono la sconsacrazione riguardo a tutti gli altri templi, tranne che per il sacello di Terminus, il dio dei confini. In questo modo essi significarono la futura stabilità dei fines di Roma. A questo auspicio di eternità dell’impero ne seguì un altro relativo alla sua grandezza, allorché, scavando le fondamenta del tempio, fu trovato un teschio umano dai lineamenti integri. Questo caput significava che il luogo era destinato a costituire la rocca dell’impero e la “testa” della sua potenza1

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Bruto partecipa alla fondazione della repubblica

Bruto è figlio di una sorella di Tarquinio il Superbo; questi gli uccide il padre e il fratello, ma Bruto riesce a sfuggire alla follia omicida del sovrano fingendosi sciocco ed entra persino in intimità con i figli del re, che lo considerano il proprio zimbello. Più tardi, Bruto vendica lo stupro commesso da Sesto Tarquinio, figlio del Superbo, sulla castissima Lucrezia guidando la rivolta che conduce all’abbattimento della monarchia, per diventare infine membro della prima coppia consolare che guida la neonata repubblica. Quando viene a sapere che una vasta trama, mirante a riportare Tarquinio sul trono di Roma, ha coinvolto anche i suoi figli Tito e Tiberio, Bruto ne dispone l’immediata messa a morte e assiste personalmente all’esecuzione dei due giovani; e mentre tutti i presenti cedono alla commozione, il solo console mantiene un’espressione imperturbabile1.

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Le due Tullie, spose dei due Tarquini

Le due Tullie, figlie di Servio Tullio e di una Tarquinia, hanno sposato i due fratelli Lucio e Arrunte, che la tradizione romana considera a loro volta figli di Tarquinio Prisco, e dunque zii materni delle due Tullie, oppure nipoti del defunto sovrano, e dunque cugini delle Tullie stesse. I due matrimoni uniscono però partner dal temperamento opposto: la Tullia più ambiziosa e spregiudicata ha sposato il Tarquinio più mite e arrendevole, la Tullia più devota al padre e aliena dal delitto, al contrario, il Tarquinio deciso a rivendicare il trono appartenuto un tempo alla sua famiglia. Ben presto i due cognati più animosi, Lucio Tarquinio e Tullia Minore, diventano amanti e si sbarazzano con un duplice delitto dei rispettivi partner, quindi si sposano a loro volta e organizzano la liquidazione di Servio Tullio. Mentre Lucio si presenta in Senato ed espelle violentemente dalla curia l’anziano re, precipitandolo dalle scale e abbandonandolo sul selciato, dove invia poi dei sicari a finirlo, Tullia si imbatte nel cadavere del padre, che impedisce al suo cocchio di procedere, e non esita a calpestarlo con le ruote del carro. Del crimine resta traccia nella stessa toponomastica della città, giacché la via che Tullia stava percorrendo al momento di imbattersi nel corpo del padre venne ribattezzata Vicus Sceleratus1.

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Tarquinio e l’enigma dei libri sibillini

Durante il regno dell’ultimo re di Roma si presentò da lui una donna straniera – in alcune versioni descritta anche come anziana1– che voleva vendergli nove (o tre) libri di oracoli a un prezzo molto alto, in oro secondo Dionigi di Alicarnasso2. Tarquinio rifiutò sbrigativamente l’offerta a causa del prezzo e la venditrice se ne andò. Dopo poco tempo, la donna si presentò ancora al re, ma stavolta con un terzo di libri in meno (sei, o due, a seconda che la prima offerta fosse stata di nove o tre libri), chiedendo lo stesso prezzo proposto inizialmente per il lotto completo di libri. Tarquinio a questo punto iniziò a irridere la venditrice3e a considerarla delirante e proprio per il fatto di pretendere lo stesso denaro per un numero inferiore di libri. La donna a questo punto se ne andò nuovamente salvo ripresentarsi, dopo un po’di tempo, per la terza volta a Tarquinio, non prima però di aver bruciato la metà dei libri rimasti (tre nelle versioni in cui i libri rimasti erano sei, uno in quelle versioni in cui i libri superstiti erano due) e chiedendo sempre la stessa cifra per una quantità di libri ormai decisamente ridotta rispetto all’inizio (tre su nove, oppure uno su tre). Solo a questo punto – ci dice Dionigi di Alicarnasso4– il re, insospettito per la strana vicenda, avrebbe fatto chiamare gli àuguri, interrogandoli sul da farsi. Gli àuguri compresero da subito che quei libri erano una benedizione mandata dagli dèi e che dunque Tarquinio aveva sciaguratamente respinto un bene preziosissimo. Per questa ragione essi esortarono il re a pagare immediatamente la cifra che veniva richiesta in modo da ottenere almeno una parte di quegli importantissimi oracoli, per i quali l’ultimo re avrebbe scelto due custodi: i duoviri (il cui numero crebbe fino a sedici in età cesariana) sacris faciundis che si occupavano della loro consultazione.

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Bruto e la dea Carna

Dopo aver scacciato Tarquinio, Giunio Bruto scioglie un voto a Carna, la dea che sovrintende agli organi vitali degli esseri umani. È a lei che si chiede di mantenere in salute il fegato, il cuore e i visceri che si trovano all’interno del corpo. Bruto si era dimostrato idoneo a modificare la forma di governo grazie al suo cuore e alla capacità di dissimularne il valore fingendosi sciocco e per questo motivo fa erigere un tempio in onore di Carna. Alla dea si offrono farinata di fave e lardo, poiché soprattutto con questi cibi si rinvigoriscono le forze del corpo1.

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Bruto sostituisce il sacrificio umano con teste simboliche

Quando Tarquinio il Superbo ristabilisce le feste in onore dei Lari e di Mania, poiché l’oracolo di Apollo prescrive di sacrificare teste in cambio di teste, si avvia l’usanza di immolare dei bambini a Mania, madre dei Lari, per la salvezza dei familiari. Dopo la cacciata di Tarquinio, il console Giunio Bruto muta la tradizione e ordina che il sacrificio si compia mediante teste d’aglio e di papavero: così la richiesta di Apollo può essere soddisfatta sul piano nominale, evitando di fatto l’empietà di un sacrificio umano. Per scongiurare i pericoli, le famiglie appendono alle porte immagini consacrate a Mania durante le feste dei Compitalia1.

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Bruto interpreta l’oracolo del bacio alla madre

Tarquinio, angosciato da prodigi funesti, decide di consultare l’oracolo di Apollo a Delfi, inviandogli i propri figli Tito e Arrunte, cui si affianca anche Bruto, più come zimbello che come compagno. Questi porta in dono ad Apollo un bastone di legno, suscitando lo scherno dei cugini, ignari della sua astuzia: nel cavo del bastone infatti Bruto ha nascosto una verga d’oro. Al quesito dei giovani, il dio risponde che a Roma il potere supremo sarà detenuto da quello che per primo avrà baciato la madre. Mentre Tito e Arrunte si avviano alla volta di Roma, per contendersi al più presto il bacio della madre, Bruto finge di inciampare e cadendo goffamente bacia la terra, madre di tutti gli uomini, adempiendo così l’oracolo senza che i cugini se ne accorgano1.

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Il messaggio silenzioso di Tarquinio e la strage di Gabi

Il Superbo non riesce a conquistare Gabi, finché non ricorre alla frode e fa infiltrare in città suo figlio Sesto, che finge di essere crudelmente perseguitato dal padre e poco a poco cresce nella fiducia degli abitanti, fino ad ottenere il comando militare. A questo punto Sesto invia di nascosto un messaggero al padre per chiedergli il da farsi. Tarquinio però non dà risposta alle domande del messo; per lo meno non a voce. Come fosse immerso nei suoi pensieri, invece, si aggira in silenzio per il giardino e con un bastone svetta nervosamente le più alte cime dei papaveri. Stanco di aspettare invano la risposta, il messo torna da Sesto a riferire il silenzio sprezzante del re, ma al giovane basta il racconto dello strano comportamento del padre per comprendere che questi gli ordina, attraverso silenziose “ambagi”, di eliminare i cittadini più eminenti di Gabi. Sesto fa uccidere i maggiorenti della città, che in breve capitola1.

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