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I figli di Bruto condannati a morte

Dopo la cacciata di Tarquinio fu svelata una congiura ai danni della neonata repubblica. Nella trama erano coinvolti anche i figli di Bruto, Tito e Tiberio; quando essa venne scoperta, a Bruto, in quanto console, toccò il duro compito di giustiziare i figli, condannati a morte come il resto dei congiurati. Denudati, legati a un palo e sferzati, infine decapitati, i due giovani attiravano su di sé gli sguardi di tutti i presenti, che ne commisuravano la sorte, mentre Bruto assistette impassibile alla loro esecuzione1.

Riferimenti interni

Riferimento : M. Biancucci, «La fine dell’eroe» in Bettini M. (a cura di), Il sapere mitico, Torino, 2021, pp. 43-48.

Fonti
  1. Livio, 2, 2-6

Commento

L’eliminazione dei figli equivale a una forma di
autoimmolazione da parte di Bruto, che sacrifica la continuità
della propria stirpe per la salvaguardia della patria.
Il suo atteggiamento
vale a dimostrare che a Roma un padre è tale per
la patria prima che per sé per i suoi figli, sui quali il pater ha, nella cultura romana, potere assoluto.

Le morti eroiche, pur afferendo a tipologie diverse, appaiono
dunque legate da un aspetto che tutte le accomuna: esse scaturiscono
da uno spiccato senso di appartenenza a una collettività,
alla quale l’eroe è disposto a sacrificare la propria esistenza
individuale.

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