Risultati ricerca

Ricerca per tag: "Zeus"

Miti

Nascita di Orione

Irieo vive a Tanagra e non può procreare. Un giorno accoglie nella propria casa Zeus, Hermes e Poseidone. I tre immortali, per ricompensare l’uomo dell’ospitalità ricevuta, s’impegnano a esaudire il suo massimo desiderio. Irieo chiede un figlio. Allora gli dèi prendono la pelle del bue o del toro che era stato loro sacrificato, la 'inseminano' (apespermenan), poi ingiungono a Irieo di interrarla e di recuperarla dopo dieci mesi. Al compiersi di questo tempo nasce Urione, così denominato dall’atto di urinare (to ouresai) nella pelle bovina compiuto dalla triade divina, nome che poi si muterà in quello di Orione con il quale il personaggio sarà comunemente noto1.

Leggi mito
Nascita di Elena

Leda è moglie del re di Sparta Tindaro, padre mortale di Elena, nella cui casa la ragazza viene allevata. Tuttavia, un'altra tradizione riconosce in Zeus il genitore divino dell’eroina: sotto le mentite spoglie di un cigno il Cronide vola presso Leda e ottiene con l’inganno l’incontro amoroso1. Secondo alcuni la donna, nella medesima notte in cui ha luogo l’unione con il dio, copula con il consorte mortale2. Il frutto di queste unioni ravvicinate con i due amanti è plurimo: i gemelli Castore e Polluce, Elena e Clitennestra. Leda, per di più, partorisce un uovo, che si schiude subito oppure in un secondo momento, dopo che la donna lo ha deposto in una cassa3. In un’altra versione, invece, madre di Elena è Nemesi: costei tenta una sequela di metamorfosi per evitare l’amplesso con Zeus, finché l’unione avviene quando i due personaggi hanno entrambi la forma di un’oca4.

Leggi mito
Ringiovanimento di Iolao

I figli di Eracle sono perseguitati da Euristeo, il re che aveva imposto al padre le ben note fatiche. Iolao, guida e protettore degli Eraclidi, fugge con loro dall’Argolide in Attica. I supplici ricevono benevola accoglienza e gli Ateniesi rifiutano di consegnare i fuggitivi a Euristeo, il quale li ha inseguiti e adesso dichiara guerra alla città. Quanto i due eserciti sono pronti a scontrarsi, Iolao, benché anziano e privo di forze, vuole prendere parte alla lotta. I presenti si oppongono: un vecchio in campo è un danno per se stesso, oltre che per i propri compagni; occorre arrendersi a questa evidenza e lasciare da parte l’impossibile idea di riconquistare la giovinezza. Eppure l’eroe, più che mai risoluto, decide di indossare le armi votive presenti nel tempio di Zeus. Intanto, l’armata argiva soccombe. Iolao e Illo, uno dei figli di Eracle, si lanciano in corsa, sul cocchio, all’inseguimento di Euristeo. Raggiuntolo, Iolao prega Zeus ed Ebe di diventare giovane per un solo giorno. A questo punto, si compie il prodigio: due stelle, posandosi sui gioghi dei cavalli, avvolgono il carro con una nube scura. Dalla cupa oscurità appare Iolao, esibendo il giovane aspetto delle membra rinnovate. L’eroe prevale su Euristeo, lo fa prigioniero e lo conduce al cospetto della vecchia Alcmena, la madre di Eracle, per decidere se l’odiato nemico dovrà essere giustiziato1. Secondo un’altra versione, Iolao è già morto quando Euristeo minaccia di muovere guerra agli Ateniesi; il defunto prega allora di poter tornare in vita, viene esaudito e, dopo aver ucciso Euristeo, perisce per una seconda volta2.

Leggi mito
Titono e l'eterna vecchiaia

Titono appartiene alla casa regnante a Troia. Un giorno Aurora, che lo vuole suo sposo, lo rapisce dalla terra, poi va a chiedere a Zeus che egli sia immortale e viva per sempre. Il Cronide approva, ma l’incauta dea ha dimenticato di domandare per l’amato l’eterna giovinezza. Così, finché è nel pieno vigore delle forze, Titono trascorre i giorni in sereno connubio con la dea, presso le correnti di Oceano, ai confini del mondo. Ma quando le prime ciocche bianche spuntano sulla testa e sul mento del compagno, Aurora si tiene lontano dal letto; tuttavia, continua a tenere l'eroe nelle sue stanze, lo nutre con cibo mortale e ambrosia, gli dona belle vesti. Col tempo, però, la vecchiaia giunge al culmine, l’uomo non riesce nemmeno a muovere le esili membra. Allora Aurora lo rinchiude nel talamo, serrando le porte: Titono non uscirà mai più da questa prigione, da cui si ode solo il flebile suono della voce1. Secondo un'altra versione, Titono viene trasformato in cicala per iniziativa di Aurora2ovvero è lui stesso a richiedere la metamorfosi3; o ancora, prima di diventare cicala, dorme per un certo periodo in una culla come un bambino piccolo4.

Leggi mito
Asclepio e la resurrezione dei morti

Asclepio, figlio di Apollo e della mortale Coronide, apprende dal Centauro Chirone l’arte medica e la tecnica chirurgica. In breve tempo diventa guaritore espertissimo, proteggendo i mortali da tutte le specie di morbi. Ma anche il sapere è servo del guadagno: un giorno, corrotto dalla brama di ricchezza, in cambio di un cospicuo compenso il figlio di Apollo resuscita un morto. Interviene allora Zeus, per folgorare Asclepio e insieme a lui l’uomo appena ritornato alla vita1. In un’altra versione del mito2, Asclepio riceve da Atena il sangue sgorgato dalle vene della Gorgone: quello delle vene di sinistra è utilizzato per far morire gli uomini, quello delle vene di destra per guarirli e per risvegliare i defunti. Inoltre, Zeus interviene perché teme che i mortali imparino da Asclepio l’arte di curarsi e quindi si soccorrano tra di loro3. In Diodoro Siculo, Zeus agisce su istigazione di Ade, il quale si lamenta perché il suo potere è sminuito da quando le cure di Asclepio hanno ridotto drasticamente il numero dei morti4. Infine, secondo Zenobio, Zeus uccide Asclepio affinché costui non sembri agli uomini un dio5.

Leggi mito
Chirone diventa mortale

Presso capo Malea, il Centauro viene colpito da una freccia scagliata da Eracle. La ferita si rivela incurabile e Chirone, rifugiatosi in una caverna, vorrebbe morire in solitudine, ma non può perché è immortale; interviene a questo punto Prometeo – inizialmente mortale, in questa versione – il quale offre a Zeus di diventare immortale al suo posto: solo così il Centauro riesce a morire, ponendo fine alle terribili sofferenze1.

Leggi mito
Glauco diventa immortale

Ad Antedone, in Beozia, il pescatore Glauco si accorge che alcuni dei pesci da lui catturati riprendono vigore grazie a una certa erba. Volendone sperimentare personalmente le proprietà, l’eroe si ciba del portentoso vegetale: secondo alcuni impazzisce, secondo altri diviene subito immortale, senza però smettere di invecchiare. In preda a simili effetti, Glauco salta in mare gettandosi da una rupe. Da questo momento è una divinità marina, dotata di virtù profetiche1. In Ovidio, dopo il tuffo, Oceano e Teti purificano Glauco di tutto ciò che egli ha di mortale, pronunciando nove volte una formula e lavandolo con l’acqua di cento fiumi; il personaggio attraversa una fase di profondo smarrimento e, quando riprende i sensi, ha una lunga barba verde, braccia cerulee e coda di pesce2. Secondo Nicandro, Glauco è un cacciatore dell’Etolia e l’animale che vede rianimarsi per aver assaggiato la miracolosa erba è una lepre. Per volere di Zeus si scatena una violenta tempesta, che induce il personaggio a gettarsi in mare3. C’è infine la tradizione su Glauco bambino cretese, figlio di Minosse e Pasifae. Mentre sta inseguendo un topo, costui cade inavvertitamente in un orcio colmo di miele e muore. Il padre lo cerca a lungo e invano, finché il cadavere viene rinvenuto grazie all’abilità mantica di Poliido di Argo; ma Minosse, che rivorrebbe il figlio in vita, fa rinchiudere l’indovino insieme al corpo del defunto. Durante la prigionia, Poliido assiste al prodigio di un serpente che, per mezzo di un’erba, resuscita un altro serpente appena morto. Riporta quindi in vita Glauco e viene liberato dal re4.

Leggi mito
I gemelli: Eracle e Ificle

È sera, e Alcmena ha appena messo a letto i suoi bambini: Eracle, di dieci mesi, ed Ificle, di una notte più giovane. Dopo essere stati allattati e dondolati nello scudo di bronzo che funge da culla, i due si addormentano in un sonno profondo. Ma nel cuore della notte Era suscita contro di loro due terribili serpenti, dai denti aguzzi e dalle lingue velenose. Non appena i mostri si avvicinano alla culla per mordere i bambini Zeus produce una forte luce e i due infanti si svegliano: Ificle è preso da terrore, e con i piedini respinge la coperta di lana nel tentativo di fuggire; Eracle invece afferra prontamente i serpenti stringendoli in una terribile morsa. Nel frattempo Alcmena, sentendo le grida della nutrice, sveglia il marito Anfitrione e tutta la casa accorre nella stanza dei gemelli. Qui con loro grande stupore trovano Eracle che, ridendo, depone ai piedi del padre i due serpenti ormai morti. Alcmena prende in braccio Ificle spaventato, mentre Eracle torna a dormire sotto una pelliccia. L’indomani i genitori consultano l’indovino Tiresia per avere un responso su quanto accaduto.1.

Leggi mito
I gemelli: Anfione e Zeto

Antiope, sedotta da Zeus, è incinta e tenta di fuggire dalle ire del padre Nitteo: perciò viene accolta da Epopeo, re di Sicione. Ma Nitteo, sul punto di morire dal dolore, affida al figlio Lico il compito di punire Antiope. Lico uccide Epopeo e riporta a casa la sorella, la quale partorisce per strada – sul monte Citerone – due gemelli (Anfione e Zeto) che vengono esposti e raccolti da un pastore. Antiope viene affidata alla custodia della perfida Dirce, moglie di Lico, che la tormenta in ogni modo. Una volta cresciuti, i gemelli riusciranno a liberare la madre e a vendicarsi di Lico e di Dirce. In seguito fortificheranno Tebe con enormi mura1.

Leggi mito
I gemelli: Castore e Polluce (Dioscuri)

Castore e Polluce avevano razziato i buoi dei loro cugini Ida e Linceo, ma furono avvistati da Linceo stesso, che aveva una vista acutissima. Ida trafisse Castore con una lancia, perciò Polluce accorse immediatamente in preda all’ira. Ida e Linceo cercarono di invano di uccidere Polluce scagliando contro di lui una grossa pietra; ma questi ebbe la meglio su Linceo, mentre Zeus lanciò il suo fulmine contro Ida. A quel punto Polluce si diresse verso il fratello, che era a terra in punto di morte, e pregò il padre Zeus di farlo morire con lui, perché non vi poteva più essere gloria (tima) per un mortale privato dei suoi cari (philon). Ma Zeus gli rispose che ciò non era possibile, perché Polluce era in realtà figlio suo, e la sua sorte sarebbe stata quella di vivere con gli dèi nell’Olimpo; Castore era invece stato concepito dopo, da un seme mortale (sperma thnaton), ed era quindi destinato a morire. L’unica possibilità era che Polluce dividesse la sua sorte con lui, passando metà della vita sotto terra, e l’altra metà in cielo, cosa che l’eroe non esitò a fare. Zeus riaprì allora gli occhi di Castore.1.

Leggi mito
Dioniso, il dio lo straniero, arriva a Tebe

All’arrivo di Dioniso a Tebe, le donne tebane negano che egli sia un dio: sono infatti convinte che Semele abbia mentito e che invece di unirsi a Zeus abbia avuto una relazione con un comune mortale. Per questo Dioniso le ha punite rendendole folli e spingendole sul Citerone a compiere riti bacchici: a guidare i riti è ora Agave, sorella di Semele e madre di Penteo, al quale Cadmo aveva affidato il regno. Cadmo e Tiresia, ormai vecchi, sapendo di non potersi opporre alla divinità partecipano alle danze in onore del dio. Penteo invece, adirato, fa catturare e imprigionare alcune baccanti. Dioniso in persona entra allora a Tebe avendo assunto le sembianze di un giovane proveniente dalla Lidia, si lascia catturare dal re che lo ritiene responsabile della diffusione dei misteri e dei riti orgiastici, continuando a negare la divinità di Dioniso. Il giovane, stimolando la curiosità di Penteo, lo persuade facilmente a travestirsi da donna e ad andare a spiare le Baccanti sul monte. Agave e le sue sorelle non riconoscono l’uomo e, scambiandolo per una bestia feroce, lo dilaniano, facendolo a brandelli. Agave stessa torna a Tebe reggendo esultante la testa del figlio. È infine Cadmo che fa rientrare Agave in sé: la donna, disperata, è sopraffatta dall’orrore per quanto ha compiuto. L’intera città è così messa in guardia dai pericoli derivanti dal disprezzare la divinità e dal rifiutarle un culto (Euripide, Bacch.).

Leggi mito
Sacrificio di Macaria

I discendenti di Eracle, perseguitati da Euristeo, si rifugiano presso il tempio di Zeus. Quando l’esercito argivo è ormai alle porte della città, il re Demofonte di Atene rivela al vecchio Iolao il responso dell’oracolo di sacrificare a Core una vergine di nobile padre; Macaria, una degli Eraclidi, si offre allora spontaneamente al sacrificio, per salvare i suoi familiari e garantire la vittoria sui nemici, dando salvezza alla città1.

Leggi mito
Stupro e metamorfosi di Callisto

Callisto fa parte della schiera di Artemide e come la dea vive godendo delle caccie sui monti e nella natura selvaggia. Ha fatto voto alla dea di preservare la sua verginità. Ma Zeus se ne invaghisce e riesce ad unirsi a lei. Artemide, piena di collera, la trasforma in orsa per punire la colpa di non avere mantenuto la verginità promessa, oppure, secondo un’altra variante, Zeus la trasforma nella costellazione dell’Orsa maggiore1.

Leggi mito
Era e gli strumenti di seduzione

Era, giunta nel talamo, deterge il suo corpo con ambrosia, si unge con unguento profumato. Quindi si acconcia le belle trecce, indossa una veste lavorata da Atena, la ferma con fibbie d’oro, poi mette una cintura con cento frange, ai lobi orecchini a tre perle, sul capo un candido velo, ai piedi lega bei sandali e così ornata si reca da Afrodite, per chiederle quell’incanto d’amore con cui la dea vince tutti i mortali e gli immortali. Quindi Afrodite si scioglie la cintura ricamata, dove ci sono tutte le forze dell’incanto d’amore e del desiderio, e la dà da indossare ad Era che prontamente se ne cinge il petto e si presenta al cospetto del marito sulla cima dell’Ida. Vedendola così abbigliata, desiderio irresistibile coglie Zeus1.

Leggi mito
Alcesti: il sacrificio di sé come forma di amore coniugale

Admeto è re di Fere e presso di lui ha servito per un anno come mandriano il dio Apollo, per punizione di Zeus. Grazie al legame speciale che Admeto ha con Apollo non solo ottiene in sposa la bellissima Alcesti, ma anche gli viene concesso dalle Moire, le dee che filano il destino, di sottrarsi alla morte quando fosse giunto per lui il tempo, purché un altro fosse morto al posto suo. Il momento della morte arriva presto e Admeto sgomento chiede ai genitori di morire per lui, ma essi, pur vecchi, dichiarano che la vita può ancora riservare loro delle gioie inaspettate. Soltanto la moglie Alcesti è disposta a sacrificare la propria vita, perché il marito Admeto continui a vivere. Dà dunque addio al letto nuziale, luogo simbolico della propria vita di sposa, bagnandolo con le sue lacrime. Scende dunque all’Ade Alcesti, ma Eracle la va a riprendere dagli Inferi o, secondo altri, Persefone rifiuta la morte dell’eroina e la rimanda in vita1.

Leggi mito
Suicidio di Evadne sul rogo di Capaneo

Capaneo, uno dei setti eroi andati in armi contro Tebe, nella guerra fratricida tra Eteocle e Polinice, muore fulminato dalla folgore di Zeus. La moglie Evadne sale sulla roccia che sovrasta la casa, in prossimità del rogo funebre del marito, e si slancia ella stessa nel rogo per il desiderio di morire con lui, come dice con foga esaltata: «È morte dolcissima morire assieme a chi amiamo […] unirò il mio corpo allo sposo amato nella fiamma splendente, stringendo la mia carne alla sua. Giungerò al talamo nuziale di Persefone, e non ti tradirò mai»1.

Leggi mito
Elena e Clitemestra, fuori dalle regole del matrimonio

Figlie entrambe di Zeus e di Leda, spose ai due Atridi, Menelao e Agamennone, sono accomunate da un gamos abnorme, al di fuori delle regole sociali del matrimonio. La prima, Elena, è di tale straordinaria bellezza, che tutti i giovani più illustri di Grecia ambiscono alla sua mano. Il padre terreno Tindaro, forse su consiglio di Odisseo, li induce a stipulare un patto di mutuo soccorso, cioè che se lo sposo prescelto si fosse visto strappare con la forza la sposa, essi sarebbero andati in aiuto con una spedizione in armi e avrebbero distrutto la città del rapitore. È su Menelao che ricade la scelta di Elena, il quale accoglie nella sua reggia a Sparta il giovane principe Paride, allevato come mandriano sul monte Ida, dove era stato arbitro nella gara di bellezza tra le tre dee, Era, Atena ed Afrodite. Quest’ultima gli aveva promesso la donna più bella del mondo in cambio della vittoria. Bellissimo, con addosso splendide vesti d’oro, suscita l’amore di Elena di cui anch’egli si innamora immediatamente e, durante l’assenza di Menelao, se la porta con sé sui suoi stazzi sul monte Ida. Menelao come impazzito dalla gelosia, chiama a testimoni i giuramenti di Tindaro e si allestisce dunque una grande spedizione contro Troia dei contingenti greci con lo scopo di riprendersi Elena e vendicare il ratto e l’adulterio1.

Leggi mito
Aracne e Atena, la sfida di tessitura

Aracne è una bellissima fanciulla della Lidia, espertissima nella tessitura tanto che persino le ninfe vengono ad ammirare le sue tappezzerie. Tuttavia crede di dovere la sua arte soltanto alla sua personale abilità e non riconosce dunque il dono della dea. La quale, sotto le sembianze di una vecchia, le appare e le consiglia la modestia, ricevendone in risposta soltanto insulti. La dea si rivela allora ad Aracne con cui inizia una gara: Atena tesse una tappezzeria con gli dei olimpici in scene di superbia umana punita, Aracne invece scene di amori degli dei, come Zeus ed Europa. Il tessuto della fanciulla è talmente bello e perfetto che Atena adirata lo distrugge, mentre Aracne per l’umiliazione si impicca. La dea però la trasforma in ragno che continua a filare e tessere la sua tela1.

Leggi mito
Atena e i ruoli di genere

È la dea, figlia di Zeus e di Metis, ad insegnare al giovane ateniese Falange l’arte della guerra, mentre riserva alla sorella Aracne quella della tessitura. Atena li punisce per i loro rapporti incestuosi trasformandoli in serpenti1.

Leggi mito
Tiresia e la sessualità maschile e femminile

Passeggiando sul monte Cillene, Tiresia scorge due serpenti intenti ad accoppiarsi. Li separa, o li uccide, e, in seguito a questo gesto, viene tramutato in femmina. Sette anni dopo, ritrovandosi di fronte alla medesima situazione, Tiresia interviene e riottiene il sesso primigenio. Divenuto celebre per questa vicenda, viene interpellato da Zeus ed Era, per dirimere una contesa nata fra i coniugi. Essi avevano discusso per sapere chi, tra uomo e donna, provasse il piacere maggiore nell'atto sessuale. Tiresia, unico al mondo ad avere fatto tutte e due le esperienze, afferma che, se immaginiamo il godimento amoroso fatto di dieci parti, alla donna ne spettano di certo nove, all'uomo una sola. Era, incollerita con Tiresia, per avere svelato il segreto del genere femminile, lo punisce con la cecità, mentre Zeus, come risarcimento, gli attribuisce il dono della profezia e la possibilità di vivere a lungo, fino a sette generazioni di uomini1.

Leggi mito
Callisto: perdita della verginità e castigo di Artemide

Al seguito della dea Artemide e, per questo, tenuta alla verginità, Callisto viene sedotta da Zeus che, per avere rapporti sessuali con la giovane, si trasforma nella stessa Artemide, cosa che rivela che soltanto sotto le sembianze della dea il dio sa di potere esaudire il suo desiderio d’amore per la giovane. In seguito Artemide, durante un bagno nei boschi, vede Callisto nuda, che mostra, nel corpo, i segni evidenti di una gravidanza incipiente. La dea punisce la ninfa, per avere disatteso il patto di verginità, tramutandola in un'orsa. In seguito essa troverà la morte colpita dalle frecce di Artemide stessa, ma verrà tramutata da Zeus nella costellazione dell'orsa maggiore1.

Leggi mito
Ratto di Persefone

La fanciulla era intenta a giocare e a raccogliere fiori insieme alle figlie di Oceano. Coglieva le rose, il croco e le splendide viole, coglieva l’iris e il giacinto, fin quando, attratta dal narciso insidioso, generato dalla terra su richiesta di Zeus per compiacere Ade, si protese a cogliere lo splendido giocattolo, dal profumo che inebria e stordisce. A quel punto la terra si aprì, lasciando un varco al signore degli Inferi che rapì la fanciulla sul suo carro, mentre urlava e implorava disperata il padre degli dèi, sottratta anzitempo alla sua giovinezza1.

Leggi mito
Ratto di Europa

La giovane Europa figlia di Fenice (o di Agenore) giocava insieme alle sue compagne sulle rive dell’Anauro, fiume della Tessaglia (secondo altre versioni sulla spiaggia di Sidone o di Tiro), raccogliendo fiori. Zeus la vide dall’acqua e fu preso d’amore per la fanciulla. Trasformatosi in un bel toro avvicinò la giovane e le sue compagne sul prato, seducendole con il suo profumo di rose, tanto che Europa, affascinata dal toro, incoraggiò le compagne a salirvi in groppa, per gioco, ma non fece in tempo a montarlo che subito il dio s’immerse in acqua, trascinandola via tra le onde. A nulla valsero le urla e le suppliche della fanciulla che, rivolta indietro verso le compagne, implorava il loro aiuto. Le creature del mare assecondavano la fuga di Zeus, mentre dalle profondità degli abissi risuonava un canto nuziale, fin a quando Europa, ormai a largo, ha il coraggio di chiedere al suo rapitore chi fosse mai. Allora, Zeus rivelata la propria identità le annuncia che presto si unirà in matrimonio con lui1.

Leggi mito
Zeus inghiotte Metis

I Titani, sconfitti da Zeus, su consiglio di Gaia, invitano quest’ultimo a salire al trono. Conquistato quindi il primato assoluto nel cielo, il Cronide prende come prima moglie Metis, divinità dotata di una saggezza speciale che la pone al di sopra degli altri, dèi e uomini. In procinto di partorire Atena, Zeus, ingannandola con le sue parole, la inghiotte, inglobando con essa anche i consigli che essa è capace di dispensare. In questo modo aggira il rischio che la dea partorisca, dopo Atena, un altro figlio dal «cuore violento», più potente del padre1. Un’altra versione racconta una storia leggermente diversa: Metis, costretta all’unione con Zeus, ricorre a tutta una serie di metamorfosi per sottrarsi al suo abbraccio. Rimasta incinta, viene inghiottita dal padre degli dèi, perché andava dicendo in giro che avrebbe generato un figlio destinato a diventare il signore del cielo23.

Leggi mito
Nemesis tenta di fuggire da Zeus

La dea Nemesis è vittima degli appetiti sessuali di Zeus ai quali si sforza disperatamente di sottrarsi, sopraffatta dalla vergogna (aidos) e dallo sdegno (Nemesis). Braccata dal padre degli dèi, si lancia in una fuga disperata per terra e per mare, mutando più volte aspetto e prendendo di volta in volta la forma di quante sono le fiere che la terra nutre. Altri raccontano che anche Zeus fu costretto a trasformarsi per unirsi a lei e che la raggiunse infine, prendendo la forma di un cigno unendosi a lei che si era mutata in oca. Il frutto di questa unione fu, secondo alcuni, la bella Elena. Dall’accoppiarsi dei due dèi trasformati in uccelli, nella schermaglia amorosa, venne fuori un uovo che, custodito da Leda, diede infine alla luce Elena. Altri ancora invece sostituiscono alla dea Nemesis, il nome della mortale Leda, alla quale si unì Zeus, prendendo le sembianze di un cigno1.

Leggi mito
Unione tra Peleo e Teti

Teti non farà mistero di fronte ad Efesto dell’umiliazione subita, per essere stata obbligata a unirsi a un mortale. Erano stati Zeus e Poseidone infatti che, pur attratti dall’Oceanide, stabilirono di darla in moglie a Peleo, dopo essere stati avvertiti da Themis che avrebbe concepito un figlio più forte del padre. Mentre Peleo la tiene stretta, la dea si trasforma in fuoco, in acqua, in belva feroce, finché, ripreso il suo aspetto, non può che cedere alle nozze1.

Leggi mito
Fuga di Antiope

Antiope era figlia del tebano Nitteo. Di lei si invaghì Zeus che trasformatosi in satiro s’introdusse furtivamente nel suo letto. La fanciulla fu costretta a fuggire a Sicione a causa delle minacce del padre. Dall’unione con il padre degli dèi nacquero due gemelli, ma la fanciulla fu costretta a fuggire da Tebe, gettando il padre nella disperazione e portandolo al suicidio1.

Leggi mito
Stupro e castigo di Io

Io, sacerdotessa di Era, fu violentata da Zeus (phtheirein) che, scoperto dalla sua sposa, si affrettò a giurare di non averla tradita e toccandola la trasformò in una giovenca di colore bianco. Era chiese dunque a Zeus che le consegnasse la giovenca e le diede come guardia il fortissimo Argo Panopte. Grazie all’aiuto di Hermes che uccise con una pietra Argo, Io cominciò una fuga per terre e per mare e, una volta giunta in Egitto, riacquistò la vecchia forma e diede alla luce, sulle rive del Nilo, Epafo1.

Leggi mito
I cavalli di Achille e l'empatia con gli umani

Come Achille, anche Xanto e Balio avevano ascendenze divine, perché erano figli dell’arpia Podarge e di Zefiro1– cioè di un essere alato e di un vento, entrambe metafore privilegiate per la velocità dei cavalli2– ed erano immortali e veloci come nessun cavallo ordinario. Poseidone li aveva donati a Peleo, che li aveva poi regalati al figlio3. Erano soliti "volare" portando ogni volta il Pelide al campo di scontro sulla piana troiana e riportandolo poi alle navi, terminata la mischia. La velocità non era tuttavia l’unica caratteristica prodigiosa di questi due stalloni. Avevano anche una profondissima capacità di partecipazione alle vicende umane. Erano legatissimi al loro padrone e al suo compagno Patroclo: era proprio Patroclo, infatti, a prendersene spesso cura: tante volte li aveva lavati e ne aveva dolcemente pettinato le criniere, idratandole con l’olio4. Quando quest’ultimo era caduto ucciso sul campo di battaglia – il campo al quali loro stessi lo avevano condotto per l’ultima mischia – erano rimasti impietriti: immobili, le teste abbassate, il muso a toccare terra, dai loro occhi sgorgavano calde lacrime di dolore, le chiome scompigliate e macchiate di polvere, sembravano trasformati in una stele funeraria piantata su una tomba. Non c’era stato verso, per l’auriga Automedonte, di farli muovere né avanti né indietro, di riportarli alle navi o di trascinarli di nuovo nel mucchio: non rispondevano più né ai colpi di sferza, né alle parole, aspre o suadenti che fossero. Se ne stavano là fermi, prostrati, a versare gemiti e lacrime. Il loro dolore aveva commosso persino Zeus: «Ah infelici, perché mai vi regalammo a Peleo sovrano, a un mortale, voi che non conoscete vecchiaia né morte? Forse perché dei miseri uomini condivideste le pene?»5. Solo per suo intervento si scossero da quel torpore – Zeus aveva deciso di infondere loro l’energia e la foga necessarie per attraversare di nuovo la mischia dei combattenti.

Leggi mito
Atteone muore sbranato dai propri cani

Atteone è figlio di Autonoe e di Aristeo ma era stato allevato Centauro Chirone, dal quale aveva imparato tutti i segreti della caccia, che praticava sul monte Citerone in Beozia. Le fonti più antiche raccontano che le sue disgrazie erano iniziate quando aveva fatto arrabbiare Zeus, insidiando Semele; ma la versione più diffusa lo vuole invece in contrasto con Artemide, dea dei boschi, degli animali selvatici, e delle fasi giovanili (pre-matrimoniali) della vita umana. Secondi alcuni Artemide lo prende di mira perché si era vantato di saper cacciare meglio di lei1; secondo altri, invece, perché – volente o per sbaglio – l’aveva vista mentre nuda faceva il bagno2, violando con il suo sguardo la proverbiale refrattarietà della dea (eternamente vergine) al desiderio maschile. Per punire il ragazzo Artemide decide allora di agire sui suoi cani: li fa improvvisamente impazzire, inviando loro un attacco di rabbia per cui non riconoscono il ragazzo e lo attaccano3; ovvero trasforma Atteone in un cervo, ingannando così i cani che lo azzannano pensando di sbranare la preda. Ma la storia non finisce con la morte dello sfortunato giovane. Dei numerosi segugi che formavano la sua muta, sappiamo che, riavutisi dall’allucinazione provocata dalla dea, avevano cercato disperatamente il loro compagno, riempiendo le selve di ululati strazianti. Giunti finalmente presso l’antro del Centauro Chirone, ne suscitarono la compassione al punto che egli costruì un’immagine del ragazzo per lenire così la loro struggente nostalgia4.

Leggi mito
Il cane Lailaps e la caccia alla volpe

Procri figlia del re di Atene Eretteo sposa Cefalo, giovane cacciatore, ma le cose da subito non vanno bene. Secondo alcune fonti, lei lo tradisce per poi fuggire cercando riparo a Creta, presso Minosse1; il re cretese s’innamora della giovane donna e la seduce, promettendo di donarle un giavellotto dalla traiettoria infallibile e un cane meraviglioso, che era appartenuto a sua madre Europa, cui l’aveva donato Zeus; il cane, forgiato nel bronzo da Efesto e poi magicamente animato, era una di quelle creature immortali che l’artigiano divino sapeva produrre2. Come tutte le creature di Efesto, anche questo cane era perfetto: catturava qualunque cosa inseguisse. Procri – che era un’appassionata cacciatrice – acconsente di avere un rapporto con Minosse e ottiene il cane insieme al giavellotto. Secondo altri testi3, il cane è invece un dono di Diana, che lo regala a Procri per consolarla: la donna infatti era fuggita di casa e si era data a un’esistenza solitaria, dedita alla caccia nei boschi sacri alla dea, perché Cefalo l’aveva ingiustamente accusata di tradimento. Ritornata a casa e riconciliatasi con Cefalo – anche grazie al cane e all’arma prodigiosa, che lui desidera e ottiene – trascorre anni felici cacciando insieme al marito. A un certo punto troviamo Lailaps a Tebe coinvolto nel tentativo di cattura di una volpe straordinariamente astuta e feroce. Secondo alcuni racconti Lailaps era capitato da quelle parti vagando insieme a Cefalo, condannato all’esilio per aver ucciso senza volerlo la moglie in una battuta di caccia (Apollodoro); secondo altri, invece (Ovidio, Antonino Liberale), Cefalo vi era stato chiamato dai Cadmei che, conoscendo l’infallibilità di Lailaps, gli avevano chiesto aiuto contro il feroce selvatico. La volpe aveva tana presso Teumesso e da tempo rapinava impunita non solo le stalle ma anche le culle: i tebani le offrivano ogni mese uno dei loro figli, perché altrimenti ne avrebbe rapiti di più. Nessuno riusciva a catturarla, perché aveva avuto in sorte di sfuggire a chiunque la inseguisse. Lanciato contro la volpe, Lailaps correva come solo lui sapeva fare e la volpe fuggiva come solo lei poteva: l’uno le stava alle calcagna e sembrava sempre sul punto di prenderla, ma l’altra riusciva sempre a sottrarsi, con mille finte e rigiri. L’inseguimento non avrebbe avuto mai fine. Allora Zeus decise di cristallizzare questo prodigio e tramutò cane e volpe in rocce. Secondo alcune fonti Lailaps ottenne invece di essere innalzato in cielo dove divenne la stella Sirio della costellazione del Cane Maggiore45.

Leggi mito
Pegaso aiutante nelle imprese di Bellerofonte

Nato dalla testa mozzata della gorgone Medusa, che l’aveva concepito da Poseidone, Pegaso è un cavallo straordinariamente focoso e indomabile. Come molti destrieri mitici dotati di velocità eccezionale, è alato e dunque invincibile nella corsa, ma impossibile da sottomettere per un essere umano. Quando l’eroe corinzio Bellerofonte, secondo alcuni figlio di Poseidone lui stesso [Pindaro], lo cattura mentre si abbevera presso la sorgente Pirene, il cavallo rifiuta di farsi montare. Bellerofonte ha tuttavia la sorte di ottenere l’intervento della dea della tecnica, Atena. Apparsagli in sogno, gli dona un morso d’oro incantato, capace di domare magicamente qualunque cavallo e gli ordina di sacrificare un toro a Poseidone1. Bellerofonte esegue gli ordini divini aggiungendovi, su suggerimento dell’indovino Poliido, anche la dedica di un altare ad Atena Ippia (“dei cavalli”) – a Corinto la dea era anche invocata come Chalinitis (“delle briglie”). Con tanto favore divino, l’eroe finalmente può salire in groppa al destriero e partire per una serie di imprese leggendarie, imposte dal re di Licia: come le fonti non mancano di sottolineare2è grazie a Pegaso, infatti, che uccide la Chimera, mostro composito (leone, serpente e capra) spirante fiamme, sorprendendola con un attacco aereo reso possibile dalla elevazione della sua cavalcatura. Ancora grazie all’aiuto di Pegaso stermina poi le Amazzoni e vince i Solimi3. In seguito a queste vittorie Bellerofonte ottiene in sposa la figlia del re e metà del regno di Licia. Ma Bellerofonte non si accontenta e, ormai accecato dall’ambizione, ambisce a salire all’Olimpo per partecipare alle riunioni divine: Pegaso, a quel punto, lo disarciona. E mentre Bellerofonte vaga come un derelitto nella pianura Aleia (“Erratica”), il suo cavallo viene accolto dagli dèi olimpici: nutrito alla greppia di Zeus, Pegaso è incaricato di trasportarne le armi caratteristiche – il lampo e il tuono – per il tempo a venire.

Leggi mito
L'ariete dal vello d'oro

Nefele (la “Nuvola”, probabilmente un’Oceanina) ha due figli da Atamante, re di Beozia: si chiamano Frisso ed Elle. Ma Atamante sposa in seguito una mortale, Ino(o Demodice) dalla quale pure ha due figli. Costei vuole eliminare la prima discendenza del marito e minaccia Frisso: secondo alcuni cercando di sedurlo (Pindaro), secondo altri invece provocando una carestia e inducendo Atamante a credere che essa si sarebbe risolta solo se avesse sacrificato Frisso a Zeus. Per sottrarre i figli alla pericolosa situazione, Nephele manda a prenderli un ariete prodigioso che aveva avuto in dono da Hermes. L’animale era ricoperto da un fulgido manto di lana d’oro – era perciò chiamato Chrysomallos –, poteva volare e soprattutto parlare come un umano. Aveva perciò avvisato i due ragazzi dei pericoli che incombevano su di loro (Ecateo). Come si capisce, non si trattava di un montone qualunque e la sua origine era infatti semi-divina: era figlio di Poseidone (Nettuno) e della bellissima Teofane1. Lo avevano concepito quando il dio aveva cercato di sottrarre la ragazza ai suoi molti pretendenti, trasferendola nell’isola di Crumissa e mutando la forma di lei e di tutti gli abitanti dell’isola in quella di un gregge di pecore. Anche in quella forma Theofane spiccava comunque per bellezza. Ma i pretendenti l’avevano inseguita fin lì: sbarcati e non vedendo nessun essere umano, avevano iniziato a uccidere le pecore per farne banchetto. Vista la situazione, Nettuno trasformò quelli in lupi, mentre presa egli stesso le sembianze di un ariete, si accoppiò con Theofane. Da questa unione era nato, appunto, l’ariete dal vello d’oro. Come questo fosse finito nelle mani di Hermes e perché il dio l’avesse donato a Nefele non è dato sapere, ma è chiaro che si trattava di una bestia di rango divino. Frisso ed Elle salgono quindi in groppa all’ariete e con questo iniziano a sorvolare terre e mari. Giunti sopra le acque che separano il continente europeo da quello asiatico, Elle scivola dalla cavalcatura, precipita in mare e vi muore: da quel momento quel luogo sarà chiamato Ellespontos (il “Mare di Elle”). Frisso invece giunge sano e salvo in Colchide, dove decide di sacrificare l’ariete ad Ares (o a Zeus/ Il motivo di questa uccisione non è precisato dalle fonti. In alcuni racconti è Nefele stessa che fa promettere al figlio, una volta tratto in salvo, il sacrificio dell’animale (Igino); un'altra versione vuole che sia Hermes (precedente "proprietario" dell’animale) a suggerire a Frisso di sacrificare la bestia; oppure sarebbe stato l’animale stesso, una volta compiuta la missione di salvataggio, a rivolgere a Frisso parole umane e a suggerirgli di sacrificarlo a Zeus Fyxios (“dei fuggitivi”)2. Si sarebbe trattato insomma di qualche cosa di più che un semplice assenso della vittima, come il rito classico normalmente prevedeva dall’animale condotto all’altare: Crisomallo, già un prodigio di per sé, avrebbe organizzato uno stupefacente auto-sacrificio. Il suo manto splendente, rimosso dal cadavere, viene appeso a un albero nel bosco sacro di Ares e custodito da un enorme drakon (e lì rimarrà fino a quando Giasone non riuscirà a prenderlo, con l’aiuto di Medea). Altri dicono che il montone non fu sacrificato: si sarebbe volontariamente spogliato del proprio manto per donarlo a Frisso e, così privo del vello, sarebbe volato in cielo per diventare la costellazione dell’Ariete – per questo tale costellazione sarebbe poco luminosa (Eratostene). Diversamente, sarebbe stata Nefele a fissare l’immagine dell’Ariete prodigioso nel cielo dopo la sua morte per mano di Frisso3.

Leggi mito
Nascita di Attis

Dal seme del dio frigio del cielo, che Pausania identificava con Zeus, caduto a terra mentre il dio è addormentato, nasce una divinità, Agdisti, dotata di due organi sessuali, maschile e femminile. Gli dèi, pieni di terrore, gli recisero il sesso maschile, dal quale spuntò il mandorlo. Una ragazza, la figlia del fiume Sangario, ne colse il frutto maturo, lo ripose in grembo e il frutto sparì, ma ella ne rimase incinta. Il bambino, nato da questa unione, Attis, venne esposto e una capra si prese cura di lui. La bellezza del ragazzo era ben al di là di ogni bellezza umana e un giorno Agdisti se ne innamorò e cercò di impedire le sue nozze con la figlia del re di Pessinunte facendolo impazzire: Attis si tagliò i genitali e morì. Agdisti si pentì di ciò che aveva fatto e ottenne da Zeus che il corpo di Attis non si corrompesse né imputridisse1.

Leggi mito
L'ematite

In un tempo primordiale, antecedente l’avvento di Zeus, la violenza regnava tra le generazioni divine. Dall’unione di Urano, il cielo stellato, e di Gea, la terra, nascevano figli che il padre odiava e ricacciava sotto la terra stessa. Un giorno, Crono si ribellò al padre e lo evirò con un falcetto fatto di adamante, una materia che Gea aveva appositamente creato. I genitali furono gettati in mare e dalla loro spuma nacque Afrodite. Stando ad alcune varianti tarde, alcune delle gocce di sangue sprizzate dalla ferita furono disseccate dalle pupille di fuoco dei cavalli di Helios e divennero pietra ematite1.

Leggi mito
L'ambra

Il figlio del Sole, Fetonte, ottenne dal padre di poter condurre il carro che trasportava l’astro diurno da oriente a occidente1. L’impresa, però, si rivelò disastrosa. Il ragazzo non fu capace di governare i cavalli alati e il carro si diresse troppo vicino alla terra. Le montagne si incendiarono, le acque si prosciugarono e Zeus, per porre fine al caos, folgorò l’auriga. Fetonte morì precipitando nel fiume Eridano. La sua morte fu pianta dalle sorelle, le inconsolabili Eliadi: esse furono tramutate in pioppi neri e le loro lacrime, asciugate dal calore dell’astro, divennero ambra.23.

Leggi mito
Tributo per il minotauro

Non molto tempo dopo Minosse, che aveva il dominio del mare, armò una flotta contro Atene. La guerra si protraeva e Minosse non riusciva a conquistare Atene; allora pregò Zeus di ottenere riparazione dagli Ateniesi: la città fu colpita da carestia e pestilenza1. Per tentare di porre fine all’epidemia, gli Ateniesi, sulla base di una antica profezia celebrarono una serie di sacrifici umani, che però non ebbero alcun esito. Essi pertanto chiesero all’oracolo cosa avrebbero dovuto fare per porre fine al contagio: il dio rispose che avrebbero dovuto subire una pena scelta da Minosse, che impose loro di mandare sette giovani e sette fanciulle, inermi, in pasto al Minotauro. Il Minotauro era rinchiuso in un labirinto, dove colui che entrava non poteva più uscire perché i suoi intricati corridoi impedivano di trovare l’uscita2.

Leggi mito
Deucalione e Pirra

Al tempo in cui regnava ancora la stirpe degli uomini di bronzo, Zeus per distruggerla scatenò un diluvio al quale sopravvissero i soli Deucalione e Pirra. I due interrogarono la divinità – Zeus o Temi, a seconda delle varianti – che diede loro un responso misterioso: avrebbero dovuto gettare sopra la testa – o dietro le spalle – le ossa della grande madre. Compreso che la grande madre era la terra, la quale aveva come un corpo di cui le pietre costituivano le ossa, Deucalione e Pirra attuarono quanto richiesto dal responso divino. I sassi lanciati acquistarono forma umana, dando vita a una nuova stirpe. La parte più morbida (perché terrosa e umida) delle pietre servì a formare la materia del corpo e quella solida, invece, le ossa; inoltre, dalle pietre lanciate da Deucalione ebbero origine gli uomini, da quella lanciate da Pirra le donne1.

Leggi mito
Atena ed Efesto, nascite per partenogenesi

Divenuto sovrano degli dèi, Zeus prende l’Oceanina Metis come prima sposa. Avvertito da Urano e Gaia che Metis avrebbe un giorno dato alla luce un figlio maschio più forte del padre, destinato a succedergli sul trono, Zeus ingoia Metis onde evitare la temuta nascita di un erede. La dea era tuttavia già incinta di una figlia femmina e sarà allora Zeus, il padre, a partorire dalla sua testa la dea generata con Metis, ossia Atena, «che ha forza pari al padre e accorto consiglio», «terribile eccitatrice di tumulti, guida invitta di eserciti, signora, cui piacciono clamori, guerre e battaglie». In rappresaglia per la nascita di Atena dal solo Zeus, Era, l’“ultimissima” sposa del dio sovrano, mette al mondo a sua volta un figlio per partenogenesi: Efesto illustre, eccelso nelle arti1.

Leggi mito
nascita_apollo

Incinta di Apollo, Leto viaggia attraverso la Grecia alla ricerca di un luogo che accetti di ospitare il parto ormai prossimo del figlio che la dea ha generato con Zeus. I diversi siti visitati si rifiutano tuttavia di accoglierla per timore del dio possente che sta per nascere (nelle fonti posteriori, questo rifiuto sarà collegato alla collera di Era, la sposa di Zeus). Solo l’isola di Delo accetta di ospitare lo straordinario evento, abilitandosi così a divenire uno dei centri principali del culto di Apollo. Quando Ilizia, divinità preposta al parto, lasciato l’Olimpo dove era trattenuta da Era, raggiunge infine Delo, il travaglio prolungato di Leto ha termine e Apollo viene di slancio alla luce. Accolto da un corteo di nobili dee che lo purificano e gli danno nutrimento da immortale, il dio appena nato assurge all’istante alla pienezza delle sue forze e dei suoi poteri, e infatti dichiara: «Siano miei privilegi la cetra e l’arco ricurvo; inoltre io rivelerò agli uomini l’immutabile volere di Zeus»1.

Leggi mito
Teogonia esiodea

All’inizio ci sono Chaos, l’abisso originario dell’informe e dell’indefinito, poi Gaia, la Terra, potenza primordiale che costituisce l’assise dell’universo a venire, quindi Eros, che senza avere discendenza propria è tuttavia la potenza indispensabile per mettere in moto la dinamica delle filiazioni divine, avviando così il processo teogonico. Chaos mette al mondo Notte ed Erebo, e dall’unione di questi nascono Etere e Giorno: l’oscurità e la luce, nello spazio e nel tempo, vengono a costituire le coordinate essenziali in cui l’universo può prendere forma. Gaia mette al mondo per partenogenesi i Monti, che articolano la sua superficie, Ponto, il salso Mare che si agita negli abissi terrestri, e Urano, il Cielo che la sovrasta definendone il limite superiore. Unendosi a Ponto, la Terra primordiale genera una serie di potenze legate al mondo acquatico, talvolta benevole talvolta mostruose. Dalla sua unione con Urano sono generate la maggior parte delle entità divine che strutturano l’universo, tra cui: Oceano, il fiume divino che circonda la terra, delimitandola, ed è, con Teti, all’origine delle acque dolci; Iperione, "Colui che si muove in alto" e Theia, "Divina", che unendosi danno vita a Sole, Luna e Aurora, specializzando così nella discendenza le prerogative evocate dai rispettivi teonimi. Gaia e Urano non solo costituiscono la coppia primordiale Cielo-Terra, ma sono anche i capostipiti della dinastia divina regnante. Oltre a generare Ciclopi e Centimani, terribili divinità che rappresentano la potenza delle armi e della forza bruta, essi mettono al mondo i Titani, il più giovane dei quali, Crono, evira Urano su istigazione della stessa Gaia, adirata con il figlio e sposo che respingeva nelle viscere della terra la loro prole. La dinamica cosmogonica e poi teogonica si articola infatti, nel poema di Esiodo, con il mito di successione che vede Crono impadronirsi del potere e diventare sovrano degli dèi, per poi essere detronizzato da suo figlio Zeus. Per conservare il proprio potere, Crono ingoiava i figli generati dall’unione con la sposa e sorella Rea, ma questa, grazie all’aiuto di Urano e Gaia, riesce a salvare il loro ultimo nato, Zeus, destinato a diventare il re degli dèi. I fratelli e le sorelle di Zeus (Ade, Poseidone, Era, Demetra ed Estia) formano la prima generazione degli Olimpi, e una volta liberati dalle viscere di Crono entrano in azione al fianco dell’erede designato. Grazie a una attenta politica di alleanze, e all’aiuto di Ciclopi e Centimani, Zeus riesce a sconfiggere Crono e i Titani, e a rinchiuderli per sempre nella prigione infera, il Tartaro. Gaia genera però proprio con Tartaro un nuovo dio, Tifone, quintessenza di tutte le forze caotiche e distruttive, che Zeus sconfigge in singolar tenzone, dimostrando così di possedere la forza necessaria per salvaguardare il cosmo anche dalla più terribile minaccia. Gli dèi tutti gli conferiscono allora, su consiglio della stessa Gaia, la dignità sovrana, e il re degli dèi procede quindi come promesso a ripartire gli onori tra le varie divinità in funzione delle prerogative di ciascuna. Zeus non solo stabilizza il mondo divino, ma anche ne espande e ne precisa le articolazioni attraverso un’accorta strategia matrimoniale, che è all’origine della seconda generazione degli Olimpi: sotto il regno di Zeus, vengono alla luce gruppi divini quali le Moire, le Cariti, le Muse, ma anche Apollo e Artemide (nati dall’unione con Leto), Persefone (la figlia generata con Demetra e poi concessa in sposa al fratello Ade), Atena (partorita da Zeus dopo che questi si era incorporato la dea Metis: vedi sopra), e altri dèi ancora. Zeus prende Era quale “ultimissima” sposa, e con lei dà alla luce, oltre a Ilizia, Ares, il guerriero divino, ed Ebe, la giovinezza fatta dea. La regina non genera tuttavia un erede al suo re: quello che per una coppia sovrana "normale" rappresenterebbe un punto di debolezza, diventa sull’Olimpo un punto di forza, posto a garanzia dell’eternità del regno di Zeus. La famiglia degli Olimpi continua comunque ad allargarsi con l’introduzione degli ultimi figli di Zeus: Hermes, il dio nato dall’unione con Maia, Dioniso nato immortale dall’unione con una donna mortale, Semele, e infine Eracle, nato mortale, ma destinato eccezionalmente a diventare dio.

Leggi mito
Ripartizione degli onori

Il poema si apre con l’immagine delle Muse che rallegrano con il loro canto gli Olimpi, e con quella di Zeus che è celebrato per aver ripartito equamente gli onori (timas) tra gli dèi. Come il canto teogonico di Hermes nell’1, quello di Esiodo racconta come e quando gli dèi vennero all’esistenza e in che modo essi si spartirono gli onori. Nella narrazione esiodea tali temi sono strutturalmente collegati al mito di successione: dal tessuto del racconto si evince infatti che anche al tempo di Crono c’era stata una ripartizione (dasmos) degli onori tra gli dèi. Al momento di guadagnarsi alleati nella lotta contro Crono e i Titani, Zeus promette di procedere, una volta divenuto sovrano, a una nuova ripartizione, confermando gli onori delle divinità che li avevano già ricevuti, ma anche conferendoli a quelle cui non erano stati ancora riconosciuti: il dio si impegna a una ripartizione rispettosa della themis2. Dopo aver sprofondato nel Tartaro Crono e i Titani, Zeus sconfigge anche un ultimo avversario, Tifeo, temibile dio che incarna le forze del caos, ed è a questo punto che egli ottiene per investitura la time regale. Forte di tale riconoscimento, il legittimo sovrano mantiene la promessa fatta e come primo atto del suo regno ripartisce in modo equo gli onori (diedassato timas) tra gli dèi, riconoscendo a sua volta le legittime prerogative di ciascuno di essi. Dopo aver stabilizzato il suo regno incorporandosi la dea Metis, che incarna l’intelligenza astuta e preveggente, egli prende poi in sposa Themis, la potenza divina che rappresenta la norma e l’esigenza di equilibrio, con cui genera non solo le Ore ma anche le Moire, ovvero le “Parti”.

Leggi mito
Poseidone protesta contro la ripartizione degli onori

Per bocca di Iris, Zeus intima a Poseidone di obbedire ai suoi ordini e ritirarsi dal campo di battaglia. Questi reagisce allora proclamando di essere anch’egli figlio di Crono e in quanto tale homotimos, “uguale in onore”, rispetto al fratello. Nel racconto di Poseidone, l’universo intero era stato un tempo oggetto di un dasmos (“ripartizione”) e ciascuno dei figli maschi di Crono aveva allora ricevuto in sorte una delle tre parti in cui il mondo era stato diviso: a Poseidone era toccato il regno marino, a Hades il sottosuolo e a Zeus il vasto cielo. La terra e l’Olimpo, restati indivisi, risultano invece comuni a tutti, sostiene Poseidone, che invita polemicamente Zeus a restarsene nella sua parte e a dare ordini ai suoi figli e non a chi gli è pari. A tale discorso, Iris risponde però ricordando il superiore potere di Zeus, la cui posizione gerarchica tra i figli di Crono è preminente. Poseidone, per quanto adirato, le dà ascolto e finisce per obbedire, suo malgrado, al sovrano degli dèi1.

Leggi mito
Contesa per gli onori ad Atene

Una disputa ha luogo per l’Attica tra Atena e Poseidone: con un colpo di tridente, il dio fa sgorgare un mare sull’Acropoli, ma è Atena, che vi ha piantato l’olivo, che ottiene l’Attica e il diritto di dare il proprio nome alla città di Atene. Per dirimere la contesa tra gli dèi si fa ricorso a uno o più giudici che le differenti versioni identificano con i primi re del paese (Cecrope, Cranao, Erisittone) oppure con i Dodici dèi1. Anche il territorio di Argo è oggetto di disputa, e i giudici sono questa volta Foroneo, figura di fondatore e figlio del fiume Inaco, affiancato da Cefiso e Asterione, divinità fluviali del luogo: questa terra è assegnata ad Era, e Poseidone che gliela contendeva si adira facendo sparire l’acqua dei fiumi2. Nel caso di Corinto, la disputa tra Helios e Poseidone è risolta da una divinità primordiale quale Briareo, che assegna al dio solare la città e l’Acrocorinto (da Helios poi ceduto ad Afrodite), e al sovrano del mare la regione dell’Istmo3. Poseidone e Atena entrano in conflitto anche per la città di Trezene, ed è Zeus stesso questa volta a dirimere la disputa, stabilendo che i due contendenti la possiedano in comune: Atena vi è quindi onorata con il titolo di Polias (“Protettrice della polis”), Poseidone con quello di Basileus (“Re”), e le monete della città hanno come effigie sia il tridente del dio sia il volto della dea4.

Leggi mito
Eris, dea della discordia

Nell’1, Eris, “Contesa”, accompagna le divinità sul campo di battaglia, mostrandosi nel suo aspetto più temibile di potenza divina legata al conflitto armato. In quanto “Discordia”, la dea svolge inoltre un ruolo di primo piano nelle vicende preliminari al giudizio di Paride, e quindi alla guerra di Troia. Nella 2 di Esiodo, in quanto figlia di Notte, Eris è associata a potenze mortifere, e genera a sua volta una serie di forze nocive alla pacifica e ordinata convivenza. Ma lo stesso Esiodo racconta, nelle 3, che non esiste una sola Eris: accanto alla dea del conflitto e della discordia, con cui i mortali sono obbligati a convivere, esiste infatti anche un’altra Eris, “Emulazione”, che Zeus onora e i cui effetti sono benefici. Grazie all’azione di questa dea, infatti, gli uomini entrano in competizione gli uni con gli altri, e tale contesa costruttiva porta ciascuno a migliorare la propria situazione e il proprio lavoro.

Leggi mito
Purificazione di Giasone e Medea

Quando erano oramai in vista i monti Cerauni, gli Argonauti fuggiti dalla Colchide incontrarono terribili tempeste suscitate da Era. Un miracoloso legno parlante della nave Argo chiarì loro che mai sarebbero sfuggiti alle pene del mare e alle tempeste terribili, se non si fossero recati da Circe, sorella di Eeta, che li avrebbe purificati dall’assassinio del nipote Apsirto, perpetrato dalla sorella Medea poco prima di fuggire con Giasone. Giunti all’isola Eea, gli Argonauti trovarono Circe che si purificava lavando i capelli e le vesti nel mare, dopo aver avuto un terribile sogno in cui spegneva un violento incendio scoppiato in casa sua versando sulle fiamme il sangue che grondava abbondante dalle pareti. Dopo essersi purificata dal sogno notturno, Circe invitò Giasone e Medea nella sua dimora, dove attuò un processo purificatorio: sgozzò un porcellino dopo averlo elevato sul capo dei due supplici seduti sul focolare sotto la tutela di Zeus. Giasone e Medea furono liberi di riprendere il viaggio «purificati», ma Circe rinnovò la condanna per il sangue "famigliare" che era stato versato, predicendo a sua nipote un triste destino1.

Leggi mito
Prometeo e il sacrificio

Nella piana di Mecone, all’epoca in cui le esistenze di uomini e dèi non risultano ancora nettamente separate, il Titano Prometeo, celebre per astuzia e scaltrezza, uccide un bue e lo divide in due parti con l’intento di ingannare Zeus, il re degli dèi, e di favorire gli uomini: nasconde carne e viscere, le parti commestibili dell’animale, all’interno del ventre del bue, in modo da conferire alla prima porzione un’apparenza sgradevole a dispetto del sostanzioso contenuto; avvolge le ossa nel lucido grasso, donando invece alla seconda porzione un aspetto invitante volto a celare un contenuto per nulla nutriente. Preparata la sua ingegnosa trappola, Prometeo chiede a Zeus di scegliere la parte degli dèi. Intuito l’inganno, il figlio di Crono si sdegna provando una profonda collera; eppure, mantiene la calma e, fingendo di stare al gioco di Prometeo, sceglie la porzione di più bell’aspetto, assecondando l’inganno. Da quel momento la norma sacrificale prevede che gli dèi, immuni dalla morte e dalla necessità di cibo, ricevano il fumo prodotto dalla combustione di ossa e grasso, mentre gli uomini mangino carne e viscere degli animali, condannati a un’esistenza mortale fatta di fame, bisogni e malanni1.

Leggi mito
Hermes: furto di bestiame e il sacrificio

Appena nato dall’unione segreta di Zeus e dell’Atlantide Maia, Hermes abbandona la dimora materna, collocata in una grotta del monte Cillene (in Arcadia), per mettersi alla ricerca delle vacche del fratello Apollo. Giunto di notte presso i prati della Pieria, dove pascolano le mandrie degli immortali, il dio di Cillene, approfittando dell’oscurità, sottrae cinquanta capi di bestiame dall’armento di Apollo e li conduce presso una stalla lungo il corso dell’Alfeo. Qui, Hermes uccide due vacche e ne divide la carne in dodici porzioni, assegnate a sorte a ciascuno dei dodici dèi, il gruppo di divinità rappresentativo in molte città greche dell’intero insieme del pantheon. Benché attratto dall’aroma della carne in fase di cottura, Hermes resiste al desiderio di cibo. Il dio, infatti, lascia le carni nella stalla come “segno del suo recente furto” e fa quindi ritorno, con le prime luci dell’alba, all’antro materno1.

Leggi mito
Deucalione e Pirra sfuggono al diluvio

Deucalione, figlio di Prometeo e sovrano di Ftia, in Tessaglia, sposa Pirra, figlia di Epimeteo e Pandora, la prima donna plasmata dagli dèi. Quando Zeus decide di annientare la stirpe dell’età del bronzo con un diluvio, Deucalione, su suggerimento del padre Prometeo, costruisce una grande arca, la equipaggia con tutto il necessario e vi sale insieme alla moglie Pirra. Zeus invia piogge copiose dal cielo, che rapidamente inondano gran parte della Grecia facendo strage di uomini. Tra i pochi a scampare al diluvio ci sono appunto Deucalione e Pirra che, a bordo dell’arca, navigano per nove giorni e nove notti sino a quando non si arenano sulla cima del monte Parnaso. Qui, cessate le piogge torrenziali, scendono finalmente a terra e Deucalione sacrifica (thyei) a Zeus Phyxios (“protettore dei fuggitivi”). In risposta a questo atto di pietà, il sovrano degli dèi invia all’eroe Hermes per chiedergli che cosa vuole. Deucalione sceglie una nuova stirpe di uomini, che nascono dalle pietre che l’eroe e Pirra gettano a terra alle proprie spalle1.

Leggi mito
Temistocle interpreta l'oracolo di Delfi

Sotto la minaccia incombente dell’invasore persiano, gli Ateniesi inviano messi a Delfi a interrogare Apollo sul da farsi. Ma la Pizia fornisce loro un oracolo terribile, che presagisce rovina e distruzione, senza lasciare scampo alcuno alla popolazione attica: «O sventurati, perché ve ne state qui seduti? Lascia le tue case e le alte cime della tua città dalla rotonda cinta e fuggi agli estremi limiti del mondo». All’udir queste parole, gli inviati Ateniesi restano profondamente turbati, ma uno dei cittadini di Delfi consiglia loro di afferrare dei rami d’ulivo e, presentandosi in veste di supplici, di chiedere alla Pizia un secondo responso. Il nuovo vaticinio è anch’esso più che preoccupante, ma, a differenza del primo, lascia agli Ateniesi una speranza di salvezza: «Quando sarà preso tutto quello che è racchiuso fra il colle di Cecrope [l’acropoli] e l’antro del divino Citerone [ai confini fra Attica e Beozia], l’onniveggente Zeus concede alla Tritogenia [Atena, la dea protettrice di Atene] che solo un muro di legno sia inespugnabile; questo salverà te e i tuoi figli». Soddisfatti del nuovo responso, gli inviati fanno ritorno ad Atene e lo riferiscono all’assemblea, dove questo è discusso tra tutti i cittadini. L’interpretazione delle parole di Apollo suscita un vivo dibattito: anziani (presbyteroi) e cresmologi (“interpreti di oracoli”) ritengono che il “muro di legno”, in cui l’oracolo ha additato l’unica fonte possibile di salvezza, corrisponda alle antiche palizzate di legno che un tempo circondavano l’acropoli, e che pertanto è necessario rifugiarsi sulla parte più alta della città e resistere lì all’attacco persiano; altri, tra cui Temistocle, sostengono che il “muro di legno” della profezia delfica sia la flotta, e che dunque è necessario abbandonare la città e affrontare i Persiani sul mare, nei pressi dell’isola di Salamina. Così come era già accaduto in precedenza, quando aveva convinto i concittadini a utilizzare i proventi delle miniere d’argento scoperte nella regione del Laurio per l’allestimento di nuove navi da guerra, Temistocle riesce a persuadere il popolo ad accogliere la sua interpretazione dell’oracolo. I fatti gli danno ragione: la flotta ateniese sconfigge quella persiana, mentre tutti coloro che si sono rifugiati sull’acropoli finiscono preda dei nemici1.

Leggi mito
saturno_lazio

Il mito greco racconta che Crono era stato spodestato da suo figlio Zeus. Questi ne aveva preso il posto e lo aveva costretto a fuggire in isole lontane. La versione romana introduce una variante: dopo che Saturno è scacciato dal figlio, arriva nel Lazio, regione che porta questo nome proprio perché l’ha nascosto1.

Leggi mito
ino_roma

La storia inizia nella città greca di Tebe, dove si trova la giovane donna Ino, sposa del re Adamante. Inoè anche sorella di Semele, dalla cui relazione amorosa con Zeus nasce Dioniso. A causa dell’ira di Giunone, però, Semele è stata fulminata. Dalle ceneri del suo corpo viene estratto il feto di Dioniso, che viene cucito nella coscia di Zeus per completarne la gestazione. Una volta nato (o rinato dalla coscia del padre), Dioniso viene affidato a Ino, che se ne occupa in qualità di zia materna. A questo punto la collera di Giunone per il tradimento di Zeus si rivolge contro di lei e la sua famiglia. Giunone fa in modo che Inovenga a sapere che Adamante, il marito, aveva una concubina. Resa folle dalla gelosia, Inobrucia i semi con cui si sarebbe dovuto ottenere il futuro raccolto. Quest’atto sconsiderato, che può provocare una grave carestia, suscita a sua volta l’ira furiosa di Adamante che uccide uno dei figli avuti con Ino. La giovane madre scappa con l’altro figlio, Melicerta, nel tentativo di salvargli la vita. Fuggono fino al mare in cui si gettano saltando da una rupe. Le divinità marine hanno pietà di loro e, nel mito greco, le divinizzano: lei prende il nome di Leucotea, la dea bianca, in ricordo della bianca schiuma del mare, e il figlio quello di Palemone. Nel mito romano, invece, la loro storia non termina qui. Dopo un viaggio per mare e, in seguito, nel Tevere, i due approdano nel centro di quella che sarà un giorno Roma, vicino al futuro Foro Boario, dove si trovano anche l’Ara Maxima di Ercole e il Tempio di Carmentis. Al loro arrivo, madre e figlio sono attaccati da un gruppo di Menadi, che vogliono impossessarsi del bambino. Inochiede aiuto ed è proprio Ercole che, udite le grida, viene in suo soccorso. Liberati dalle donne infuriate, madre e bambino vengono accompagnati da Carmentis, dea della profezia proveniente anche lei dalla Grecia. Questa provvede a rifocillarli offrendo loro quei biscotti che diventeranno in seguito un’offerta rituale e a tranquillizzarli, rivelando loro di essere al termine delle sofferenze: madre e bambino diventeranno delle divinità del Lazio e saranno conosciuti come Mater Matuta, cioè la divinità dell’aurora e dell’infanzia dei bambini, e Portunus, nome che indica il suo stretto rapporto con le acque navigabili1.

Leggi mito
I figli di Crono

Crono si unisce a Rea ma ne ingoia i figli, per impedire che si compia quanto i suoi genitori gli avevano predetto, che cioè uno di essi lo avrebbe spodestato. Rea decide però di salvare l’ultimo nato, Zeus, partorendolo di nascosto in una caverna del monte Ida a Creta e offrendo a Crono da divorare una pietra avvolta in fasce. Zeus, allevato lontano dal padre, una volta adulto libera i fratelli costringendo Crono a rigettarli, quindi stabilisce il suo regno, destinato a permanere nel tempo e al quale sono sottoposti tanto gli dèi quanto gli uomini. Grazie a Zeus gli dèi olimpi sconfiggono i Titani e conquistano il potere, mentre Zeus riceve dagli stessi fratelli la regalità. La sua prima sposa è Metis, ma quando questa è sul punto di partorire Atena, Gaia e Urano consigliano a Zeus di inghiottirla. In questo modo Zeus integra il principio generatore femminile e dando alla luce egli stesso la figlia Atena rimuove la minaccia che i suoi discendenti possano contendergli il privilegio regale1.

Leggi mito
Il padre di Achille

Discendente degli dèi primigeni del mare e delle acque, Teti è una divinità marina di grande potenza. La sua bellezza accende di desiderio Zeus e Poseidone, ma l’antica dea Themis predice che il figlio generato da Teti sarà più forte del padre e consiglia dunque di lasciare agli uomini questo dono pericoloso, in modo che Teti dia alla luce un figlio destinato anch’egli a morire, per quanto immortale nella gloria. Lo stesso Zeus organizza allora le nozze di Teti con Peleo, rampollo della stirpe divina di Eaco; da questa unione nascerà Achille, il più forte tra tutti gli eroi greci1.

Leggi mito
Rapimento di Persefone

Persefone raccoglie fiori bellissimi presso Nisa quando Ade, signore degli Inferi, balza dal sottosuolo con il suo carro d’oro e la rapisce. La vergine continua a invocare la madre per tutto il viaggio, finché Demetra ne sente l’eco e un dolore acuto le colpisce il cuore. Senza mangiare né bere né lavarsi, la dea vaga alla ricerca della figlia finché, venuta a sapere del rapimento, adirata, rifiuta di far emergere il raccolto dalla terra e di tornare nell’Olimpo finché la figlia non sia liberata. Zeus infine cede alla pressione di Demetra e lascia che la figlia torni da lei. Persefone però ha già mangiato il frutto di Ade, il melograno, e per questo resta legata agli Inferi, dove dovrà tornare e rimanere con il suo sposo per un terzo dell’anno, mentre il tempo restante potrà trascorrerlo con la madre1.

Leggi mito
teti_achille

Disonorato da Agamennone, che gli ha sottratto la schiava Briseide, Achille si allontana dai compagni, se ne va sulla spiaggia e piange, guardando il mare. Tende le braccia e chiama la madre, la accusa di averlo generato a vita breve senza che Zeus gli conceda in cambio l’onore dovuto. Dalle profondità del mare Teti sente il pianto del figlio e accorre subito, gli si avvicina accarezzandolo e gli chiede perché pianga. Achille allora si lascia andare ai singhiozzi e risponde: «Perché raccontare a te che sai tutto?». Replicando alle richieste del figlio, Teti fa in modo di restaurarne l’onore, chiedendo vendetta a Zeus dell’affronto di Agamennone1.

Leggi mito
Atena nasce senza madre

Zeus si unisce a Metis, signora dell’intelligenza multiforme, ma quando la dea resta incinta Zeus la inghiotte, assumendo in questo modo il principio generativo femminile . Così, il padre degli dèi genera la figlia Atena direttamente dalla testa, già armata e amante di guerre e tumulti, perfettamente in grado di condurre eserciti1. Nata dalla testa di un padre che ingloba – e infine elide – il principio materno dalla generazione, nessuna figura mitica potrebbe rendere al pari di Atena la madre più superflua. La dea di sé può dichiarare esplicitamente: «Nessuna madre mi ha generata, io approvo tutto ciò che è del maschio, tranne le nozze, con tutta me stessa, sono interamente del padre»2.

Leggi mito
distribuzione_poteri

Dopo la battaglia contro i Titani, gli dèi olimpi prevalgono e offrono concordemente la regalità a Zeus, che si è rivelato di gran lunga il più forte tra loro. Il figlio di Crono distribuisce tra i fratelli i poteri, in modo che ognuno conservi la sua parte di onore: Zeus ha la zona superiore del cosmo, il cielo e tutto l’etere, Ade il mondo dell’oltretomba, Poseidone il regno del mare1. Al di sopra di tutti si trova Zeus, sovrano incontrastato, dalla forza invincibile, superiore non solo a quella dei fratelli ma anche di tutti gli dèi messi insieme2.

Leggi mito
I Dioscuri

Dall’unione di Zeus e Leda, moglie di Tindaro re di Sparta, nascono i gemelli Castore e Polideuce (secondo altre versioni i gemelli nascono invece da un uovo). Si racconta anche che il solo Polideuce fosse figlio di Zeus e che Castore venisse concepito da Leda con Tindaro1. Ma è come coppia indissolubile che i due condividono il loro destino e le loro avventure: entrambi sposano due figlie di Leucippo, Febe e Ilaira2, ed entrambi sono celebri come atleti3. Insieme partecipano alla spedizione degli Argonauti, dove Polideuce sconfigge in una gara di pugilato il terribile Amico, re dei Bebrici4.

Leggi mito
Castore e Polluce contro Ida e Linceo

Il destino dei Dioscuri si intreccia con quello di Ida e Linceo, figli di Afareo cugino di Tindaro. Venuti a contesa per il bestiame, i Dioscuri riescono a rapire la mandria dei cugini e fuggono. Linceo però, dotato di vista acutissima, scorge Castore acquattato nel cavo di un albero di quercia; ne rivela quindi la posizione a Ida, che lo trafigge mortalmente con una lancia. Polideuce si slancia a inseguirli fino a Terapne, dove i due si erano rifugiati presso la tomba di Afareo. Lì Polideuce uccide Linceo e, quando Ida cerca di colpirlo con la pesante pietra tombale del padre, è lo stesso Zeus a difendere il figlio e a incenerire Ida con la folgore. Polideuce torna di corsa da Castore, ma lo trova in fin di vita; scongiura allora il padre Zeus di farlo morire con il fratello gemello, poiché se non può essere vissuta insieme a Castore la vita gli appare solo come sofferenza. Zeus allora lo pone davanti a una scelta: o vivere senza Castore da immortale nell’Olimpo o condividere lo stesso destino del gemello, un giorno in cielo e un giorno negli inferi. Polideuce senza esitazione sceglie il destino di condivisione con il fratello. Da allora i Dioscuri trascorrono un giorno presso Zeus, nell’Olimpo, e un giorno nell’oscurità, sotto terra1. Si narra ancora che dopo morti i due divennero stelle luminose, la costellazione dei Gemelli2. Dal cielo essi vengono in soccorso ai naviganti che, colpiti da una tempesta, li invocano promettendo loro un sacrificio di bianchi agnelli3.

Leggi mito
Anfione e Zeto

Antiope, figlia del dio-fiume Asopo, genera da Zeus i gemelli Anfione e Zeto. Antiope però deve abbandonarli presso il monte Citerone per fuggire l’ira del padre Nitteo, re di Tebe. Un pastore ha cura dei gemelli, che crescono forti: Zeto diviene pastore e cacciatore, mentre Anfione è il primo suonatore della lira inventata dal dio Ermes1. Lo zio paterno Lico ritrova Antiope a Sicione, la cattura riportandola a Tebe e la fa schiava presso sua moglie Dirce. I gemelli, ormai adulti, riconoscono la madre, la liberano e depongono Lico. La sovranità di Tebe viene data a Zeto, mentre Anfione la circonda di mura facendo muovere le pietre e gli alberi al suono della sua lira. Tebe ebbe così sette porte, come sette erano le corde dello strumento2.

Leggi mito
Hermes e il furto delle vacche

Nel giorno stesso della sua nascita, il piccolo Hermes, figlio di Zeus e della ninfa Maia, compì una serie di imprese degne di nota. Per prima cosa, inventò un nuovo strumento musicale, la cetra, ottenuta legando sette budelli di pecora al guscio di una tartaruga; poi, approfittando dell’oscurità tanto cara ai ladri, rubò cinquanta vacche che appartenevano al fratellastro Apollo, che era nato dall’unione di Zeus con la bella Latona. Per non farsi scoprire, le spinse via facendole camminare all’indietro, in modo che le impronte delle zampe indicassero la direzione opposta. Dopo averne cotte e mangiate due, Hermes fece ritorno a casa nascondendosi nella culla. Ma Apollo, grazie alla testimonianza di un vecchio che aveva assistito al furto, andò da Hermes per costringerlo a rivelargli il nascondiglio della sua mandria; non essendoci riuscito, lo portò sull’Olimpo, dove, alla presenza di Zeus, Hermes dovette ammettere il furto e guidare Apollo nel luogo dove aveva nascosto le vacche.

Leggi mito
Apollo diventa pastore

Asclepio, figlio di Apollo, era un medico talmente bravo che non solo guariva i malati, ma aveva addirittura trovato il modo per resuscitare i morti. Per evitare che anche gli uomini diventassero immortali come gli dei, Zeus l’aveva ucciso colpendolo col fulmine; ma Apollo, in preda all’ira, per vendicarsi, aveva ucciso i Ciclopi, colpevoli di avere forgiato il fulmine che aveva provocato la morte di Asclepio. Sdegnato per questo atto di aperta insubordinazione compiuto da suo figlio, Zeus avrebbe voluto scaraventare Apollo nel Tartaro; ma, supplicato da Latona, decise di condannarlo a una pena molto più blanda, costringendolo ad andare a servizio di un mortale, il re Admeto, per pascolare le sue bestie, vivendo insieme ai servi del sovrano tessalo. Il dio svolse il suo compito molto bene, facendo in modo che tutte le vacche partorissero due vitelli per volta.

Leggi mito
Le vacche del Sole nell'Odissea

Nell’isola bella del Sole vivevano le vacche «dalla fronte spaziosa» e le grasse pecore che appartenevano al dio Iperione. Quando la nave di Odisseo, l’ultima rimasta, si avvicinò alle spiagge siciliane, l’eroe itacese sentì i muggiti delle vacche e i belati delle pecore. Memore dei consigli che gli avevano dato l’indovino Tiresia e la maga Circe, che l’avevano ammonito di non fermarsi nell’isola del Sole «che rende felici i mortali» perché gli sarebbe toccata una grande sciagura, Odisseo pregò i compagni di non fermarsi e procedere oltre. Ma Euriloco lo rimproverò dicendogli che, poiché avevano vagato troppo a lungo nel mare, avevano bisogno di fermarsi almeno per una notte per poi ripartire dopo aver mangiato ed essersi riposati. Odisseo accettò a malincuore, ma prima si fece promettere che, se avessero incontrato una mandria di vacche o un gregge di pecore, non avrebbero ucciso nessun’animale, ma si sarebbero sfamati mangiando soltanto le provviste che avevano ricevuto da Circe. Ottenuta dai suoi uomini questa promessa, l’eroe fece legare la nave agli scogli, e tutti scesero a terra. Ma il giorno dopo non riuscirono a ripartire a causa dei forti venti, e non poterono farlo nemmeno nei giorni seguenti. Finché ebbero cibo e bevande, non ci fu nessun problema; ma quando le provviste finirono, dovettero ricorrere alla caccia e alla pesca, anche se né gli uccelli catturati né i pesci pescati erano sufficienti a placare la fame dei compagni di Odisseo. Ma un giorno che questi si era recato nell’interno dell’isola per supplicare gli dèi perché gli permettessero di partire di nuovo verso la sua amata Itaca, Euriloco riuscì a convincere i compagni a sacrificare le più belle tra le vacche del Sole, «dall’ampia fronte e dalle corna lunate». Quando Odisseo fece ritorno all’accampamento, gli animali erano già stati uccisi, cotti e mangiati. L’ira del Sole fu terribile: avvisato dalla messaggera Lampezia, Iperione chiese a Zeus di vendicare subito l’offesa ricevuta, minacciando di abbandonare per sempre la terra e di scendere nell’oltretomba per illuminare il buio regno dei morti. Allora Zeus, il signore delle nuvole, gli promise che avrebbe fatto giustizia: quando, dopo sette giorni di bagordi, la nave riuscì finalmente a partire alla volta di Itaca, il re degli dèi la colpì con un’improvvisa tempesta. Solo Odisseo si salvò, anche se fu costretto ad attraversare una seconda volta lo stretto di Messina, scampando per miracolo prima alle fauci di Cariddi e poi alle teste di Scilla, e raggiungendo, dopo dieci giorni passati alla deriva, Ogigia, l’isola di Calipso.

Leggi mito
Efesto scopre il tradimento di Afrodite

Poiché Efesto era stato informato dal Sole che, tutte le volte che si allontanava da casa, sua moglie Afrodite si incontrava di nascosto con l’amante Ares, Efesto si recò nella sua fucina e, per vendicarsi della moglie fedifraga, forgiò sull’incudine una serie di catene così robuste che non si potevano né spezzare né sciogliere. Recatosi nella sua dimora, entrò nella camera da letto e collocò le catene (che, essendo sottili come tele di ragno, erano quasi invisibili) sopra il letto nuziale. Preparata la trappola, finse di partire per l’isola di Lemno; avendolo visto allontanarsi, Ares entrò nella casa del fabbro divino e salì con Afrodite sul talamo. Quando le catene caddero su di loro, capirono di essere prigionieri: Efesto convocò tutti gli dèi per far vedere loro i due indegni amanti, chiedendo a Zeus di restituirgli i doni nuziali che gli aveva dato prima di prendere in sposa Afrodite1.

Leggi mito
La collana di Armonia

Apollodoro1ci racconta che, su richiesta di Cadmo, il dio fece una collana che il re tebano regalò come dono nuziale alla moglie Armonia. Da fonti più dettagliate2veniamo a sapere che, poiché Armonia era nata dalla relazione adulterina che Afrodite aveva avuto con Ares, Efesto, per vendicarsi di colei che era il frutto del tradimento, aveva avvelenato l’oro contenuto nel monile per far sì che la persona che l’avesse indossata fosse distrutta da una serie di disgrazie. E così avvenne: come racconta Stazio3, Cadmo e Armonia furono trasformati in draghi; la collana passò ad Agave che, in preda alla follia, massacrò il figlio Penteo; poi a Semele, che, dopo essere stata sedotta da Zeus, fu folgorata per averlo visto in tutto il suo splendore; poi a Giocasta, che commise incesto unendosi al figlio Edipo; poi ad Argia, figlia di Adrasto re di Argo, che convinse il marito Polinice a guidare una spedizione militare contro Tebe; infine la possedette Erifile, moglie dell’indovino Anfiarao, il quale, obbligato a partire insieme a Polinice per Tebe, vi trovò la morte.

Leggi mito
Aracne e la tessitura

La giovane Aracne aveva raggiunto una grande reputazione nell’arte di tessere la lana, sorpassando tutte le altre donne della Lidia. Ma, durante una festa, si vantò della sua bravura in modo troppo insolente, giungendo perfino a sfidare Atena. La dea prese allora le sembianze di una vecchia e si recò dalla ragazza per consigliarle di moderare la sua audacia. Ma, avendo visto che Aracne persisteva nel suo atteggiamento, riprese il suo aspetto consueto e decise di accettare la sfida: chi delle due fosse stata la più brava a realizzare una tela su un tema specifico avrebbe vinto. Atena ricamò sulla sua tela la contesa che aveva sostenuto con Poseidone per il possesso di Atene, mentre Aracne vi raffigurò tutti gli amori adulterini consumati tra gli dèi maschi (soprattutto Zeus e Poseidone) e le donne mortali. Furibonda per l’insolenza dimostrata dalla ragazza, che aveva avuto l’ardire di sfidarla, ma anche gelosa per la sua abilità nel ricamo, Atena strappò la splendida tela tessuta da Aracne e la percosse con la spola. Incapace di sopportare l’umiliazione, Aracne si impiccò; la dea allora la trasformò in un ragno, condannandola, insieme ai suoi discendenti, a tessere per sempre le sue tele .

Leggi mito
Pandora, la prima donna

Esiodo1racconta che il compito di plasmare le donne (o meglio: la prima donna, Pandora) sarebbe stato affidato da Zeus al solito Efesto, che aveva costruito col fango una figura alla quale il dio aveva infuso la voce e la forza, mentre l’altra divinità "artigiana" (Atena) aveva ricevuto l’incarico di insegnarle le «opere» (erga). Secondo Pausania2, vicino a Panopeo, una città della Focide, c’erano ancora due pietre gigantesche dal colore del fango che si trova nel letto dei fiumi, contraddistinte da un profumo particolare che ricordava quello della pelle umana: secondo gli abitanti del luogo, si sarebbe trattato dei resti del fango che era stato usato da Prometeo per plasmare il genere umano.

Leggi mito
Zeus si trasforma in pioggia d'oro per fecondare Danae

Zeus aveva saputo che, nascosta dentro un’alta torre, veniva tenuta prigioniera una donna bellissima. Si chiamava Danae ed era figlia di Acrisio, il re di Argo. Siccome, come molti sovrani del mondo antico, anche Acrisio desiderava fortemente un figlio maschio al quale lasciare in eredità il suo regno, aveva chiesto all’oracolo di Delfi se sua moglie gli avrebbe dato un erede. Ma, come fanno spesso gli oracoli, non solo Apollo non aveva risposto alla sua domanda, ma aveva detto ad Acrisio che sarebbe stato ucciso da suo nipote. Per evitare quindi che la sua unica figlia si sposasse e partorisse un figlio che lo avrebbe ucciso, Acrisio la fece rinchiudere. Ma questa precauzione non fu sufficiente, perché Zeus, trasformatosi in pioggia d’oro, penetrò attraverso le inferriate nella stanza nella quale era stata rinchiusa Danae. Dalla loro unione, nacque Perseo, il mitico eroe che, una volta divenuto grande, uccise davvero Acrisio – anche se lo fece involontariamente, colpendolo con un disco durante una gara d’atletica1.

Leggi mito
Demetra addenta Pelope

Per mettere alla prova l’onniscienza degli dèi, Tantalo uccise il figlio Pelope, lo fece a pezzi, lo cucinò in un calderone e lo diede da mangiare agli dèi. Zeus si accorse dell’inganno, ma non fece in tempo a impedire che Demetra, turbata per la scomparsa di sua figlia Persefone, che era stata rapita da Ade, ne mangiasse un pezzo corrispondente alla spalla. Per porvi rimedio, Zeus ordinò che il corpo di Pelope fosse ricomposto nella pentola nella quale era stato cotto e fece sostituire la spalla originale, ormai incautamente divorata da Demetra, con una spalla d’avorio. Per aver cercato di ingannare gli dèi, Tantalo fu condannato per l’eternità a non poter mai soddisfare né la fame né la sete: sprofondato nelle profondità del Tartaro, era immerso in uno stagno fino al mento (ma l’acqua si ritirava tutte le volte che Tantalo si chinava per berla) sotto le chiome di alberi cariche di frutti dolcissimi (ma i rami si alzavano tutte le volte che Tantalo cercava di afferrarli).

Leggi mito
Licaone e il cannibalismo

Quando Zeus fu ospitato da Licaone in Arcadia, i suoi figli, che erano noti per la loro empietà, vollero metterlo alla prova, per vedere se era davvero un dio: dopo aver mescolato la carne di un bambino con quella degli animali sacrificati, gliela offrirono durante un banchetto. Ma Zeus se ne accorse: dopo aver fulminato i figli, trasformò Licaone in un lupo.

Leggi mito
Prometeo fa le parti del sacrificio

Quando gli uomini risolsero la contesa che li aveva separati dagli dèi, l’astuto Prometeo decise di tendere una trappola a Zeus. Un giorno Prometeo offrì in sacrificio un bue, dividendone il corpo in questo modo: nascose la carne e le interiora dentro la pelle, mentre dentro il candido grasso mise le ossa; agli uomini diede la pelle, mentre agli dèi offrì il grasso. Quando Zeus vide quella singolare ripartizione, prese in giro Prometeo per aver diviso le offerte in modo iniquo; Prometeo gli rispose ridendo di scegliere per sé e per gli dèi la parte che il suo cuore preferiva. Quando comprese l’inganno di Prometeo, Zeus andò su tutte le furie e si vendicò sugli uomini costringendoli a bruciare per sempre sugli altari, in onore degli dèi, le bianche ossa degli animali.

Leggi mito
Glauco, Enea e l’orgoglio del sangue

Glauco, eroe licio alleato dei Troiani, interrogato da Diomede sulla sua discendenza, racconta in dettaglio la sua genealogia e conclude: «Questa è la stirpe e il sangue di cui mi vanto di essere». Anche il troiano Enea ricorda ad Achille la propria gloriosa discendenza da Dardano figlio di Zeus, quindi conclude con le stesse parole di Glauco1.

Leggi mito
Eracle al seno di Era e la Via Lattea

Ermes, o secondo altri Zeus, attacca al seno di Era addormentata Eracle bambino, per assicurargli l’immortalità, ma quando la dea si sveglia per un morso del piccolo, ovvero quando scopre la sua identità, lo scaccia via adirata e il latte che fuoriesce dal suo seno forma la Via Lattea1.

Leggi mito
Il pianto di Achille per Briseide e Patroclo

Piange Achille, lontano dai compagni, solo sulla riva del mare, dopo che ha dovuto restituire ad Agamennone la schiava Briseide, il suo dono d’onore, e piangendo invoca la madre Teti. La dea emerge dagli abissi del mare e a lei l’eroe chiede di ottenere da Zeus almeno la gloria, visto che è destinato a breve vita1. Antiloco, incaricato da Menelao di portare ad Achille la notizia della morte dell’amico Patroclo, piange non appena ricevuto il compito e continua a farlo mentre riferisce il tragico evento. Achille, appresa la notizia, si dispera fortemente, si getta nella polvere, si cosparge il capo di cenere, grida, piange, singhiozza, invoca la morte, mentre Antiloco piangendo gli tiene le mani2. Sempre Achille piange ricordando l’amico Patroclo, ora steso su un fianco, ora supino, ora bocconi; poi si alza e va errando lungo la spiaggia, inconsolabile, e non riesce a trovare riposo, nemmeno grazie al Sonno, che tutto doma3.

Leggi mito
Niobe, Eos e le lacrime

Niobe, figlia di Tantalo, mette al mondo con il marito Anfione sette figli e sette figlie. Orgogliosa della sua fecondità, commette l’errore di vantare la propria superiorità su Latona, madre dei soli Apollo e Artemide. La dea chiede allora vendetta ai propri figli, i quali sterminano l’intera prole dell’eroina. Niobe, addolorata, fugge a Sipilo e qui viene tramutata in roccia. Da quel giorno non ha mai smesso di piangere, e dalle sue lacrime nasce una sorgente che sgorga dalla roccia1. Anche il mito di Eos, l’Aurora, è all’origine di un simile fenomeno naturale. Dal matrimonio con Titono, fratello di Priamo, essa dà alla luce Memnone, che durante la guerra di Troia uccide Antiloco, figlio di Nestore, giunto a combattere in aiuto del padre. Achille allora affronta Memnone in un’accesa lotta e le madri dei due eroi, Aurora e Teti, in ansia per la sorte dei figli, si recano da Zeus per un consulto. Il re degli dèi, dopo avere pesato la sorte dei due uomini, stabilisce che Memnone dovrà soccombere, ma Eos ottiene per lui il dono dell’immortalità. Le lacrime versate dalla madre per la morte del figlio, però, danno origine alla rugiada che compare quotidianamente sui campi alle prime luci dell’alba2.

Leggi mito
Lacrime d’ambra e metamorfosi di sorelle

Le Meleagridi, sorelle di Meleagro, piansero tanto per la morte del fratello che Artemide, mossa a pietà, le trasforma in galline faraone, dalle cui lacrime sgorgavano gocce d’ambra1. Le Eliadi invece, figlie del Sole e sorelle di Fetonte, piangono la morte del fratello fulminato da Zeus, per aver condotto il carro del Sole troppo vicino alla terra, rischiando di incendiarla. Trasformate in pioppi dal re degli dèi, continuano a versare lacrime dalle quali hanno origine gocce d’ambra2.

Leggi mito
Argo dai cento occhi e la sorveglianza di Io

Panopte, “che tutto vede”, è epiteto di Argo, al quale la tradizione attribuisce un numero vario di occhi, che gli consentono di controllare tutto senza posa. Per questa caratteristica viene incaricato da Era di fare da guardiano a Io, fanciulla amata da Zeus e tramutata in giovenca per essere sottratta alla gelosia della dea. Ma Era ottiene che la giovenca sia consacrata a lei, legata a un albero e costantemente sorvegliata da Argo, finché Ermes riesce a uccidere il mostro1.

Leggi mito
I denti del drago e la nascita degli Sparti

Cadmo riceve dall’oracolo di Apollo il responso di prendere come guida una vacca e di fondare una città là dove l’animale si fosse fermato. Giunto in Beozia, invia i suoi uomini ad attingere acqua per compiere il sacrificio della vacca ad Atena, ma la fonte, sacra ad Ares, è custodita da un drago, che uccide gli uomini mandati da lui, finché lo stesso Cadmo riesce a uccidere il serpente e, su consiglio di Atena, ne semina i denti nel terreno. Da questi nascono uomini armati, gli Sparti, che iniziano a combattersi tra loro e si uccidono reciprocamente. Cadmo espia quindi la loro morte con un lungo periodo di servitù presso Ares, finché Atena assicura all’eroe fondatore il regno della città e Zeus gli dà in moglie Armonia, figlia di Ares e Afrodite1.

Leggi mito
Il cuore di Dioniso e la rinascita

I Titani, col volto coperto di gesso, riescono ad attrarre il piccolo Dioniso con una trottola, dei dadi e uno specchio. Mentre il giovane dio si specchia i Titani lo colpiscono, lo fanno a pezzi, bollono le carni in un paiolo e poi le infilzano negli spedi per arrostirle. Quindi mangiano le carni tranne il cuore, nascosto e preservato da Atena; Zeus lancia la sua folgore contro i Titani, distruggendoli, mentre affida le membra di Dioniso ad Apollo. Proprio il cuore preservato consente al dio di rinascere nonostante il suo corpo sia stato fatto a pezzi e mangiato1.

Leggi mito
Pandora e l’origine del dolore umano

Plasmata da Efesto per volere di Zeus, Pandora è la prima donna offerta agli uomini. Si tratta di un castigo mandato dal padre degli dèi per il gesto di Prometeo, il quale aveva donato agli uomini il fuoco, e destinato a durare per sempre. Pandora è simile alle dee, dotata di abilità nei mestieri da Atena, di grazia da Afrodite, ma anche di scaltrezza e menzogna da Hermes. Epimeteo, ignorando il consiglio del fratello Prometeo di non accettare alcun dono dal padre degli dèi, la accoglie. Le sventure umane hanno inizio quando la donna scopre il vaso nel quale gli dèi hanno riposto tutti i mali, tra cui le malattie, che giungono spontaneamente e in silenzio, di giorno e di notte, portando dolore ai mortali1.

Leggi mito
Miti sulla follia

Poiché il re di Tebe Penteo rifiuta il culto di Dioniso, la madre Agave diviene lo strumento di punizione di tale empietà, per mano del dio. In preda al furore bacchico, infatti, salita sul monte per compiere il rito, scambia Penteo per un cucciolo di leone e, con la bava alla bocca, le pupille che roteano e la mente sconvolta, fa a brani il suo corpo1. Anche le Miniadi, figlie del re di Orcomeno Minia, vengono punite per il medesimo atteggiamento di disprezzo nei confronti di Dioniso: poiché rimangono in casa, intente alla filatura, durante una festa in onore del dio, egli le conduce alla follia mistica fino a portarle all’uccisione del piccolo Ippaso, figlio di una di loro2. In un altro mito, Era tormenta con un pungolo Io, di cui Zeus si è invaghito, e la costringe a un folle vagabondaggio3. Ancora inviata da Era per gelosia è la follia di Eracle, nato dall’unione di Zeus e Alcmena: l’eroe è fuori di sé, con le pupille iniettate di sangue e la bava alla bocca; corre ansimando su e giù per le stanze e, credendo di avere davanti a sé i figli di Euristeo, agli ordini del quale ha compiuto le fatiche, uccide a uno a uno i figli, con le frecce del suo arco o fracassando loro il capo con la clava. Sul punto di uccidere il proprio padre, viene però colpito al petto da Atena, che lo induce al sonno. Ritornato alla ragione, al suo risveglio Eracle non trova altra via d’uscita al suo folle gesto che il suicidio, ma viene salvato da Teseo, che lo conduce con sé ad Atene (Euripide, Herc.). Infine, anche quella di Aiace Telamonio è follia omicida, come per Eracle. Venuto a contesa con Odisseo per il possesso delle armi di Achille e dopo la vittoria di quest’ultimo, Atena lo fa impazzire. Aiace compie un massacro di greggi credendo di uccidere i compagni achei, per vendicarsi del torto subito; una volta rientrato in sé, lo prende un dolore ancora più grande, tanto che, per lavare l’onta e allontanare la vergogna del gesto compiuto, si trafigge con la propria spada4.

Leggi mito
La zoppia eroica di Efesto e Edipo

Efesto, figlio della coppia olimpica, è zoppo e della sua menomazione esistono varie spiegazioni: in una disputa tra Zeus ed Era, Efesto prende le parti della madre e Zeus infuriato lo scaraventa giù dall’Olimpo; oppure è la stessa Era a gettarlo via alla nascita proprio perché per eliminare una deformità malefica; raccolto da Teti ed Eurinome e nascosto in una grotta sottomarina, apprende a lavorare i metalli e a fabbricare splendidi monili. Su incarico di Teti, sua salvatrice, forgia le prodigiose armi di Achille1. Edipo è esposto alla nascita sul Citerone, per sfuggire all’oracolo per cui avrebbe ucciso il padre e commesso incesto con la madre, con le estremità dei piedi trafitte, e di questo antico dolore le sue giunture sono ancore testimoni2.

Leggi mito
Cecità punitiva e redenzione

Il cacciatore Orione viene accecato da Enopione dopo che egli, ubriaco, ha tentato di violentarne la figlia Merope. Si reca quindi alla fucina di Efesto, rapisce un fanciullo, se lo mette sulle spalle e gli dice di guidarlo verso Oriente. Qui, colpito da un raggio di sole, riprende immediatamente la vista1. Anche il pastore Dafni è accecato dalla Ninfa Nomia, cui ha giurato fedeltà eterna, perché un giorno la sua rivale Chimera, dopo averlo fatto ubriacare, riesce a sedurlo e unirsi a lui. Egli, cieco, canta canzoni luttuose2. Licurgo, re di Tracia forte e violento, caccia via con un pungolo il giovane dio Dioniso con le sue nutrici, che scappano via scagliando a terra i loro tirsi, mentre Dioniso si tuffa in mare accolto da Teti. Zeus, adirato, lo rende cieco3.

Leggi mito
Asclepio e la medicina che sfida la morte

La nascita di Asclepio è legata al fuoco. Apollo, per vendicarsi del tradimento di Coronide, che già incinta di lui si unisce a un mortale, colpisce mortalmente l'eroina con il suo arco; ma mentre Coronide giace cadavere sulla pira funebre, il dio sottrae al fuoco il bambino ancora in vita e lo affida a Chirone, perché impari l’arte della medicina. Ben presto Asclepio si distingue per le sue doti di guaritore e diviene talmente abile da resuscitare i morti, grazie al sangue di Medusa ottenuto in dono da Atena. Così facendo, però, Asclepio sconvolge il naturale ordine del mondo, tanto che Zeus lo uccide con un fulmine1.

Leggi mito
La palude e il corpo di Fetonte

La palude conserva ancora il corpo in parte carbonizzato di Fetonte, colpito dal fulmine di Zeus quando conduceva il carro di suo padre Elio. Il corpo del giovane emana vapori esiziali, tanto che neppure gli uccelli riescono a sorvolare il luogo. Intorno le sorelle di Fetonte, le Eliadi, intonano i loro lamenti: dai loro occhi sgorgano lacrime d’ambra . Gli Argonauti attraversano la regione con grande difficoltà: di giorno sono sfiniti dall’odore di morte emanato dalle acque della palude e di notte sono tormentati dai lamenti delle Eliadi1.

Leggi mito
Zeus, Poseidone e la divisione del mondo

Durante la battaglia sotto le mura di Troia, Zeus è sdegnato per l’aiuto portato da Poseidone agli Achei: manda quindi Iris a ordinare al dio di ritornare fra i numi oppure di recarsi nel mare, lasciando la battaglia. Zeus si dichiara più forte del fratello e maggiore per nascita. Quando Iris riferisce le parole di Zeus, Poseidone riconosce la forza di Zeus, ma ricorda che il mondo fu diviso secondo giustizia in parti uguali: a Ade toccarono gli inferi, a lui il mare e a Zeus il cielo, mentre l’Olimpo e la terra rimasero comuni a tutti1.

Leggi mito
La contesa tra Atena e Poseidone per l’Attica

Quando sull’Attica regnava il re Cecrope, nato dalla terra, gli dèi decisero di insediarsi nelle terre dove avrebbero voluto avere un culto personale. Poseidone per primo arrivò in Attica, colpì la terra con il suo tridente e fece sgorgare il mare chiamato Eretteide. Poi giunse Atena, che piantò invece un ulivo. Scoppiò quindi una contesa fra i due che Zeus volle risolvere – secondo una delle versioni del mito – nominando giudici i dodici dèi. Essi assegnarono l’Attica ad Atena perché Cecrope testimoniò che la dea per prima era giunta in Attica e aveva piantato l’olivo1. Atena dunque diede il suo nome alla città e Poseidone, adirato, inondò la pianura Tiria e sommerse l’intera Attica .

Leggi mito
Achille travolto dalle acque del fiume

All’intervento del fiume segue la risposta di Achille: l’eroe afferma che farà quanto richiesto dallo Scamandro, ma soltanto quando sarà riuscito a chiudere i nemici in città e a sfidare a duello Ettore. Dopo un breve rimprovero dello Scamandro ad Apollo, accusato di non difendere i Troiani come era stato richiesto da Zeus, Achille continua la sua strage, entrando nel fiume. Esso si gonfia, esce dal suo letto, riuscendo a spingere i cadaveri fuori dalla corrente e nel contempo a proteggere i Troiani ancora vivi tra i suoi gorghi. Achille si trova in difficoltà e tenta di fuggire per la pianura; grazie alla sua velocità può allontanarsi per un tratto, ma, appena si ferma, il fiume lo incalza. L’eroe si rivolge allora a Zeus, rimproverandogli il mancato aiuto divino e soprattutto la falsa profezia ricevuta dalla madre: non solo non morirà presso le mura di Troia, ucciso dalle frecce di Apollo, ma neppure per mano di Ettore; la sua morte non sarà degna di un eroe, perché verrà travolto da un fiume come può accadere a un bambino a guardia del bestiame, che lo attraversi incautamente durante un temporale.

Leggi mito
Le Danaidi e il ritorno dell’acqua in Argolide

Da Io, figlia di Inaco, la fanciulla amata da Zeus che, trasformata in giovenca, fu costretta ad allontanarsi dall’Argolide e a errare per il mondo perseguitata da Era, nasce Epafo, da cui discende alla terza generazione Danao. Egli fa ritorno in Grecia per evitare alle figlie il matrimonio non gradito con i figli di Egitto, suo fratello; e sono appunto le Danaidi, insieme con Poseidone, a riportare l’acqua in Argolide1. Dopo che Danao giunge insieme con le sue figlie ad Argo, infatti, le manda a cercare acqua, poiché il paese ne era privo a causa dell’ira di Poseidone. Durante la ricerca Amimone, una delle Danaidi, scaglia una freccia contro un cerbiatto, ma colpisce invece un Satiro addormentato. Quando questi, svegliatosi, tenta di violentarla appare Poseidone, che si unisce alla fanciulla e le rivela il luogo dove si trovano le sorgenti di Lerna2. In altre versioni del mito, Amimone semplicemente si addormenta, stanca per il lungo vagabondare, ed è allora che un Satiro le si avvicina con l’intenzione di violentarla3, oppure Poseidone scaglia a terra il tridente per colpire il Satiro e in quel punto sgorga una triplice sorgente.

Leggi mito
Notte e Giorno come cicli del tempo

Questa concezione sembra essere sottesa alla generazione di Notte da Caos, che fu la prima entità esistente, e quindi di Giorno da Notte, unitasi con il fratello Erebo: Notte e Giorno non sono altro che due rappresentazioni del tempo in una delle sue basilari sequenze cicliche, ossia nell’alternanza giornaliera di oscurità e luce. E lo stesso può dirsi delle Ore (approssimabili alle stagioni), figlie di Zeus e Temi, che scandivano i ritmi delle opere degli uomini1. Secondo un’altra tradizione documentata nell’Eroico di Filostrato2, stagioni, mesi e anni potevano anche ridursi a pure convenzioni, scaturite dalla creatività di un inventore non divino, come il geniale Palamede: inventore delle lettere dell’alfabeto e, dunque, promotore di quel processo di “denominazione” che comportava la identificazione – cioè creazione – delle cose .

Leggi mito
Persefone e la nascita delle stagioni

Ade, signore degli inferi, si innamora di Persefone, figlia di Demetra, e decide di rapirla e di portarla con sé sottoterra. Demetra, dea delle messi, abbandona allora l’Olimpo e parte alla ricerca della figlia; in tal modo, però, essa trascura qualsiasi altra incombenza e viene meno alle sue funzioni, privando gli uomini e le divinità dei frutti della terra e delle libagioni da essi garantite. Scoperta infine la responsabilità di Ade, grazie all’intervento di Zeus si giunge a pattuire la restituzione di Persefone alla madre, al fine di ripristinare la produttività del suolo. Durante la sua permanenza presso Ade, però, Persefone – per scelta o per inganno, a seconda delle versioni – ha assaggiato un chicco di un melograno dei giardini del sovrano infero, condividendo in tal modo il cibo dei morti e finendo per instaurare un legame indissolubile con quel regno sotterraneo. Ma anche a questo incidente gli dèi seppero escogitare una soluzione: Persefone avrebbe vissuto per due terzi dell’anno con la madre sull’Olimpo e per un terzo con il consorte negli inferi (o, secondo un'altra variante, per metà anno con l’una e per metà con l’altro)1.

Leggi mito
Adone e la divisione dell’anno

Adone nasce dall’albero in cui era stata trasformata la madre Smirna, colpevole di aver nutrito una passione incestuosa nei confronti del padre e di averlo perciò sedotto, rimanendo incinta. Smirna, avendo supplicato gli dèi di porre fine alle sue pene, viene mutata in mirra, ma porta ugualmente a termine la sua gravidanza: dalla sua corteccia esce un fanciullo meraviglioso, che Afrodite, artefice dell’incesto di Smirna, decide di accudire. Forse abbagliata da tanta bellezza, Afrodite nasconde il fanciullo in una cesta e lo affida alle cure di Persefone, che però, incuriosita, apre la cesta e rimane sedotta dal fanciullo, rifiutandosi di restituirlo ad Afrodite. Zeus allora interviene per dirimere il dissidio: l’anno sarebbe stato diviso in tre parti e Adone avrebbe vissuto per un terzo con Afrodite, per un terzo con Persefone e per un terzo ovunque avesse voluto, libero di scegliere per sé. Ma Adone, una volta cresciuto e sedotto a sua volta da Afrodite, finì per passare anche il terzo dell’anno a sua disposizione in compagnia della dea1. Secondo un’altra versione Zeus, interpellato da Afrodite e Persefone, demanda l’onere di giudicare quale dea avrebbe potuto godere della compagnia di Adone alla Musa Calliope, la quale decreta che il giovane trascorra una metà dell’anno con Afrodite, l’altra metà con Persefone2.

Leggi mito
Sole, Luna e Aurora nella Gigantomachia

Urano e Gea avevano generato tra molti altri figli anche Iperione e Teia, che poi si erano uniti a loro volta generando Sole, Luna e Aurora. Questi tre fratelli rappresentavano la luce-guida che consentiva al mondo di manifestarsi e di essere percepito: quando, durante la Gigantomachia, Gea aveva cercato un’erba magica che preservasse i suoi figli Giganti dalla morte per mano di un essere mortale, secondo quanto le era stato predetto, Zeus bloccò Sole, Luna e Aurora, facendo piombare la Terra nella più totale oscurità e così impedendo alla stessa Gea il ritrovamento dell’erba; i Giganti, in tal modo, furono condannati a perire sotto i colpi di Eracle1.

Leggi mito
Fetonte e il carro del Sole

Fetonte è figlio o nipote del dio Sole. Ingannando Elio, o avendo avuto la possibilità di esprimere un desiderio che questi avrebbe dovuto per forza esaudire, riesce a prendere le redini del carro del Sole, guidandolo nel cielo; la furia dei cavalli, che solo Elio era capace di contenere, spinge però il giovane fuori rotta, troppo lontano dalla Terra (secondo una versione del mito), oppure troppo vicino (secondo altre versioni), facendo scoppiare forti incendi e rendendo scuro persino il sangue, e dunque la pelle, delle popolazioni dell’India. Zeus allora interviene fulminando Fetonte, che precipita dal carro e cade presso le foci dell’Eridano1.

Leggi mito
Atreo e Tieste: il sole sorge a occidente

Quando i figli di Pelope, Atreo e Tieste, si confrontano per dirimere la questione, Zeus suggerisce ad Atreo, che già era stato raggirato dal fratello, il modo per manifestare la sua supremazia: Atreo fa promettere a Tieste che avrebbe ottenuto il regno se il Sole avesse compiuto un corso contrario al suo solito; Tieste accetta e allora Zeus fa sì che il sole sorga a occidente e tramonti a oriente, consacrando in tal modo la sovranità di Atreo1.

Leggi mito
Le cinque età dell’umanità

Per prima venne la stirpe d’oro, all’epoca di Crono: gli uomini di questa epoca vivevano felici, senza dolori, in una condizione quasi divina; la morte li coglieva come un dolce sonno; la terra produceva spontaneamente ogni frutto. All’estinzione di questa stirpe, gli dèi sopperirono con la creazione di un’altra, d’argento: gli uomini di questa stirpe vivevano una lunghissima fanciullezza di cento anni, ma, una volta divenuti adulti, si abbandonavano a continue contese e non tributavano agli dèi i dovuti onori, motivo per cui anche questa stirpe andò incontro a una rapida estinzione. La terza stirpe fu quella degli uomini di bronzo, dediti unicamente alle opere di Ares e dunque votati a uno stato di guerra continua, che ne decretò la fine precoce. Quarta fu la stirpe degli eroi, ossia dei semidei: uomini che si segnalarono per la loro prodezza e giustizia, ma che furono man mano sterminati dalle grandi guerre del mito, come quella combattuta intorno alle mura di Tebe o a quelle di Troia; agli eroi, però, Zeus riservò un felice destino dopo la morte, trasportandoli nelle Isole dei Beati, ai confini dell’Oceano, a godere di una condizione simile a quella della stirpe aurea. Come quinta e ultima gli dèi crearono la stirpe di ferro, con cui Esiodo identifica gli uomini viventi alla sua epoca, condannati a un’esistenza di fatiche e di dolori sempre crescenti e senza rimedio1.

Leggi mito
La divisione del bue e l’inganno di Prometeo

Un giorno, a Mecone (località non meglio definita, e forse mitica), si tenne un banchetto a cui parteciparono uomini e dèi e per il quale venne macellato un grande bue. Prometeo, allora, meditò un inganno ai danni di Zeus e delle divinità: nel dividere le parti per i mortali e gli immortali, nascose le carni migliori all’interno del ventre del bue, mentre cosparse di bianco grasso tutte le ossa dell’animale, dando così la parvenza che questa parte fosse la più succulenta. Zeus, che pure aveva capito l’inganno, disse a Prometeo che le parti non gli sembravano fatte con equilibrio, ma Prometeo non cambiò i suoi propositi e invitò Zeus a compiere la sua scelta, designando la parte che sarebbe spettata agli dèi. A questo punto, Zeus fece consapevolmente ciò che Prometeo si aspettava, scegliendo la parte di grasso e ossa, ma già stava meditando la punizione che avrebbe inflitto agli uomini: da quel momento, infatti, questi ultimi avrebbero bruciato per gli dèi le ossa e il grasso degli animali1.

Leggi mito
Il diluvio

Quando Zeus fece cadere sulla Grecia una pioggia così violenta da inondare tutte le terre, Deucalione e Pirra riuscirono a salvarsi perché, su suggerimento di Prometeo, avevano costruito una grande arca in cui si erano rifugiati, portando con sé scorte di viveri. Il diluvio si protrasse per nove giorni e provocò la morte di quasi tutti gli uomini: alla fine, quando le acque iniziarono a ritirarsi, l’arca di Deucalione si arenò sul Parnaso, nelle vicinanze di Delfi. Deucalione e Pirra, non appena toccarono nuovamente il suolo, vollero rendere grazie a Zeus per averli preservati dalla morte; allora il dio, impietosito, lasciò loro esprimere un desiderio, e Deucalione lo pregò di ripopolare le terre di uomini (o di far sì che da lui fossero generati nuovi uomini). Come risposta, Zeus disse ai due di gettare delle pietre dietro le loro spalle, dunque senza guardare ciò che sarebbe accaduto: dai sassi lanciati da Deucalione il dio fece sì che si generassero uomini, e donne da quelli gettati da Pirra. In un’altra versione del mito, invece, il ripopolamento della Terra sarebbe avvenuto nello stesso modo, ma su diversa ispirazione: per far rinascere gli uomini, infatti, Deucalione si sarebbe recato presso l’oracolo della dea Temi e qui avrebbe ricevuto indicazione di gettare alle proprie spalle le ossa della grande madre; avendo poi capito che la madre in questione era la stessa Terra, Deucalione e Pirra iniziarono a raccogliere le pietre che si trovavano sul loro cammino (le “ossa” della Terra), lanciandole dietro di loro e facendo così nascere nuovi uomini1.

Leggi mito
La volpe di Teumesso e il paradosso della caccia

La località di Teumesso, in Beozia, era infestata da una volpe mostruosa, che divorava qualunque preda e sfuggiva a qualsiasi tentativo di cattura; si trattava, infatti, di un animale magico, inviato da Dioniso per punire i Tebani. Anfitrione, divenuto re di Tebe, si impegna a debellare il mostro e a questo scopo va a chiedere aiuto al re della vicina Atene, Cefalo, che dispone di un’arma formidabile: un cane chiamato Lailaps, "Bufera". Anche questo era un animale magico, che la moglie di Cefalo, Procri, aveva ricevuto in dono da Minosse, o secondo altre versioni dalla dea Artemide: Bufera aveva la facoltà di catturare qualunque preda inseguisse. Cefalo, quindi, andò in soccorso di Anfitrione e si recò nella piana di Teumesso, dove lanciò Bufera all’inseguimento della volpe. A questo punto, però, le due bestie si trovarono imprigionate in una corsa senza sosta: la volpe non poteva essere raggiunta, ma continuava a essere inseguita dal cane che la incalzava; il cane non poteva mancare la preda, ma d’altro canto non riusciva mai a raggiungere la volpe che era imprendibile. Zeus allora intervenne, pietrificando entrambi gli animali1.

Leggi mito
Giano bifronte e l’età dell’oro

Giano era stato il primo re del Lazio, un re talmente saggio e previdente che riusciva a vedere sia il passato che il futuro: da questa sua capacità deriverebbe il mito della sua bifrontalità. Secondo alcuni, egli era stato il primo in Italia a innalzare templi agli dèi e che per questa sua devozione aveva a sua volta ricevuto onori divini e il privilegio di essere invocato per primo nei sacrifici. Del resto, fu Giano ad accogliere Saturno quando questi venne spodestato da Zeus o addirittura a dividere il regno con lui. Saturno, dal canto suo, ricambiò l’ospitalità ricevuta rivelando a Giano i segreti dell’agricoltura di cui egli era custode e che permisero agli uomini di migliorare la qualità della loro alimentazione e il loro stile di vita. Quando poi Saturno scomparve, Giano onorò l’amico chiamando Saturnia l’intera regione sulla quale egli regnava e per lui istituì i Saturnali, una delle feste più amate dai Romani1.

Leggi mito
Deucalione, Pirra e l’enigma della rinascita umana

Al diluvio universale che Zeus aveva fatto cadere sulla terra per punire gli uomini, colpevoli di empietà, solo due esseri umani erano riusciti a scampare: Deucalione, figlio del Titano Prometeo, e sua moglie Pirra, salvatisi grazie a una barca che li aveva protetti dalla furia delle acque. Giunti sulla terraferma, i due si recarono al santuario di Temi, la dea della giustizia, per chiederle in che modo potessero rimediare alla quasi totale eliminazione della razza umana. Commossa, Temi rispose pronunciando la seguente profezia: “Quando sarete usciti dal tempio, copritevi il capo, sciogliete le cinture e gettatevi dietro le spalle le ossa della grande madre”. Davanti a un simile responso, Deucalione e Pirra rimasero senza parole. Pensando che Temi si riferisse alle ossa di sua madre (che era Pandora, la prima donna), Pirra disse che mai avrebbe commesso un simile sacrilegio; Deucalione, però, dopo aver riflettuto a lungo sulle misteriose parole della dea, convinto che non fosse possibile che un oracolo inviato da una divinità potesse esortarli a compiere un gesto sacrilego, comprese alla fine il loro significato nascosto: Temi non aveva parlato in modo aperto e chiaro, ma attraverso un linguaggio oscuro ed enigmatico, esortandoli a prendere ciascuno una pietra (le “ossa” della grande madre Terra) per scagliarla dietro le spalle. Cosa che fecero: e dalle pietre scagliate da Deucalione nacquero degli uomini, mentre da quelle gettate da Pirra nacquero delle donne .

Leggi mito
Edipo e la Sfinge: l’enigma dell’uomo

Per punire i Tebani, la dea Era, moglie di Zeus, aveva mandato un essere mostruoso, la Sfinge, che aveva la testa di una donna, le ali di un uccello, il corpo e le zampe di un leone. A tutti i Tebani che cercavano di entrare nella loro città, il mostro sottoponeva un enigma: «Sulla terra c’è un essere che ha due, tre e quattro piedi; la sua voce è una sola. Di tutti gli esseri viventi che camminano sulla terra, volano nel cielo o nuotano nel mare, è il solo che cambia il suo aspetto. Quando, per camminare più velocemente, si muove su un numero maggiore di piedi, la forza delle sue gambe è più scarsa»1. Chi non rispondeva correttamente, veniva divorato dalla Sfinge. A risolvere l’enigma fu un uomo, Edipo, che diede al mostro la risposta giusta: «O Musa dei morti dalle ali malvagie, ascolta la voce che ti svela l’enigma. L’essere di cui parli è l’uomo: quando si muove camminando a quattro zampe, è un bimbo appena uscito dal ventre della madre che non sa ancora parlare; quando si appoggia su un bastone che gli fa da terzo piede, è un vecchio reso curvo dall’età, con la testa che gli pesa sulle spalle» (scolio a Euripide,

Leggi mito

Etichette

Zeus

Link esterni

Zeus